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    Iniziata a Budapest la conferenza della European Jewish Association

    È iniziata lunedì
    a Budapest la conferenza annuale organizzata dalla European Jewish Association
    (EJA). La prima giornata ha visto riunirsi vari leader politici e
    rappresentanti di comunità ed organizzazioni ebraiche provenienti da tutta
    Europa. 

    Molti i
    temi trattati, relativi alle principali sfide che le comunità ebraiche
    affrontano quotidianamente, dall’antisemitismo alla libertà di religione. 

    «Troppi Stati
    hanno emanato leggi o tentato di emanare leggi per vietare il brith milà
    (la circoncisione) e la schechità (la macellazione
    rituale)» spiega Rabbi Menachem Margolin, Presidente della EJA, secondo cui è
    possibile individuare un crescendo nell’imposizione dei divieti relativi alla
    kasherut: «prima abbiamo visto l’imposizione di restrizioni sulla macellazione
    rituale, successivamente il divieto, infine è stato proibito di esportare,
    importare e commerciare carne kasher».

    La
    conferenza è stata anche un’occasione per rendere noto lo studio condotto
    dall’Istituto JPR- Jewish Policy Research, presentato dal Dr. Daniel Staetsky
    sulla qualità di vita delle comunità ebraiche in Europa. Secondo i risultati
    dello studio, l’Italia, l’Ungheria e la Danimarca offrono nel complesso la
    migliore qualità di vita alle locali comunità ebraiche, in contrasto con la
    Polonia e il Belgio – i due fanalini di coda dei Paesi europei analizzati.
    L’Italia si è inoltre classificata al terzo posto, dopo la Danimarca e
    l’Ungheria, per il livello di sicurezza percepito dalle comunità ebraiche.

    Sono otto i
    fattori che sono stati presi in considerazioni dallo studio nel valutare la
    qualità di vita delle comunità ebraiche negli Stati presi in esame:

    1.     Lo
    stanziamento di fondi da parte dello Stato per l’equipaggiamento di sicurezza
    destinato alle comunità ebraiche.

    2.     L’esistenza
    di un budget per il sostegno alla cultura ebraica, all’educazione e alle
    sinagoghe.

    3.     L’Adozione
    della definizione dell’IHRA.

    4.     L’esistenza
    di politiche sulla commemorazione della Shoah.

    5.     L’esistenza
    di un coordinatore nazionale per combattere l’antisemitismo e per promuovere la
    vita ebraica.

    6.     L’esistenza
    di statistiche ufficiali sugli incidenti a sfondo antisemitico.

    7.     La
    libertà di religione (Brith milà e shechità).

    8.     Percentuale
    di voti a favore di Israele all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite

    Dallo
    studio è emerso anche che il 74 % degli intervistati in Italia ed il 75% in
    Ungheria non è mai stato coinvolto personalmente in nessuna forma di
    antisemitismo.

    Circa 150
    mila ebrei vivono in Ungheria – ma solo 12mila sono affiliati a comunità
    ebraiche. In particolare, Budapest ha un’altissima percentuale di residenti di
    religione ebraica: circa il 5% di Budapest è di origine ebraica.

    Il vice primo
    ministro ungherese, Zsolt Semjén, è intervenuto durante la conferenza,
    ribadendo la politica ungherese di «zero tolleranza contro l’antisemitismo».
    Semjén, che ha spiegato come le idee antiisraeliane si possano considerare una
    forma di antisemitismo, ha confermato il supporto del governo ungherese alla
    comunità ebraiche».  «L’Ungheria è uno dei paesi più sicuri per le
    comunità ebraiche» hanno confermato. Anche Rabbi Shlomo Köves, Rabbino Capo e
    Presidente di EMIH – Associazione delle Comunità Ebraiche ungheresi, ha
    assicurato che l’Ungheria «è uno dei luoghi più sicuri per la vita ebraica in
    Europa, con meno incidenti antisemiti». 

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