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    W di Weiss

    Nel maggio 1944 il pittore triestino Arturo Nathan cominciava il suo ultimo viaggio che lo portò dal campo di Carpi a quello di Bergen Belsen, e poi a Biberach dove morì. 

    Figlio di un ebreo inglese di Trieste, Nathan dovette arruolarsi nella Prima Guerra Mondiale per quattro anni. Da quell’esperienza era tornato depresso e fragile, decidendo come molti altri suoi concittadini di recarsi in cura dallo psicanalista Edoardo Weiss un allievo di Freud.

     

    In quel momento era cominciato per lui un percorso nella sua interiorità in cui Weiss lo incoraggiò a esprimere il suo malessere attraverso la pittura. Così nel 1921 intorno ai trent’anni cominciava a dipingere un mondo sospeso e di sogno fatto di vedute marine, spesso in tempesta, in cui spesso le onde s’infrangono su scogli e statue classiche e quasi rovesciano velieri. I suoi dipinti più tardi sembrarono a molti un presagio della sua tragica fine, ma erano in realtà specchio di un’inquietudine che attraversò quei decenni. 

    Spesso si dipingeva di spalle a osservare l’orizzonte, ma l’immagine più efficace è il suo autoritratto come “L’asceta” in cui vestito di bianco fissa lo spettatore quasi in contemplazione. 

     

    Il suo punto di riferimento era stato Giorgio de Chirico con cui aveva stretto contatti dal 1925 a Roma e nel 1930 a Milano. Come de Chrico, Nathan giustapponeva oggetti e frammenti di realtà che combinati insieme risultavano spiazzanti. Fu proprio de Chirico nel 1945 a ricordare l’amico con uno dei testi più conosciuti sull’artista: 

    «Era un uomo intelligente, mite, giusto e buono ed è stato assassinato perchè era ebreo. Lavorava tutto il giorno in una Società d’Assicurazione a Trieste, per mantenere la sua vecchia mamma, e la sera stava per lunghe ore a disegnare ed a dipingere, o a leggere libri di filosofia o di poesia, sempre assorto in un sogno ideale di pensiero superiore e di creazione d’arte…»

    L’incendiario,1931, Museo Statale Ermitage, San Pietroburgo

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