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Kieran Culkin ha vinto l’Oscar 2025 come miglior attore non protagonista grazie alla sua intensa interpretazione in “A Real Pain”, film scritto e diretto da Jesse Eisenberg. Il film segue il viaggio di due cugini americani in Polonia, alla scoperta delle origini della loro famiglia e, in particolare, della storia della loro nonna, sopravvissuta alla Shoah.
Già nelle sale, “A Real Pain” mette in scena un confronto tra due personalità opposte: David (interpretato dallo stesso Eisenberg) è razionale e pragmatico, mentre Benji (Culkin) è caotico, ma anche il più empatico dei due. Fin dal primo momento in cui si trova nei luoghi della memoria, Benji percepisce con un’intensità quasi viscerale l’enormità della tragedia della Shoah, un sentimento che il cugino fatica a comprendere.
Il film evidenzia una distanza emotiva troppo spesso presente. La Shoah viene percepita come qualcosa di geograficamente e storicamente lontano, un distacco che si avverte fino al momento in cui ci si confronta con i luoghi reali dello sterminio. In “A Real Pain”, questo confronto avviene nel campo di Majdanek, uno dei pochi lager nazisti in cui le camere a gas e i forni crematori sono rimasti intatti, testimoni silenziosi della brutalità dell’orrore nazista.
Un altro tema centrale del film è il cosiddetto “turismo della Shoah”, che Eisenberg rappresenta attraverso il gruppo di partecipanti al viaggio. Sebbene molti di loro siano discendenti di sopravvissuti, mostrano un atteggiamento distaccato, privi di curiosità e di reale coinvolgimento nella visita ai luoghi della Memoria. La guida non viene sommersa di domande, il dibattito e la discussione sembrano mancare. Una rappresentazione che contrasta fortemente con la sensibilità con cui i Viaggi della Memoria vengono vissuti in Europa.
“A Real Pain” solleva così un interrogativo fondamentale: come si deve educare alla Memoria della Shoah? Le visite ai campi di sterminio sono davvero efficaci se manca un coinvolgimento emotivo e una riflessione profonda? Il film di Eisenberg, attraverso il suo ritratto disincantato, mostra proprio un esempio di come non dovrebbero essere organizzati i Viaggi della Memoria e lascia aperta una riflessione sulla necessità di un’educazione più consapevole sulla Shoah.