I confini della salvezza. Schiavitù, conversione e libertà nella Roma di età moderna (Viella editore) è il nuovo volume di Serena Di Nepi, Professore Associato di Storia Moderna presso La Sapienza, Roma. La ricerca nasce da un provvedimento del 1566 con cui Pio V autorizzò i Conservatori di Roma ad accordare agli schiavi battezzati che si fossero presentati in prima persona in Campidoglio la libertà e la cittadinanza.
Di Nepi ritiene curioso tale provvedimento «perché nel sistema della schiavitù mediterranea, un sistema con una tradizione più o meno dalla notte dei tempi, gli schiavi vi erano sempre stati: in epoca romana, greca, ma anche andando più indietro fino all’ epoca delle antiche civiltà mesopotamiche. D’altronde anche la Torah parla della schiavitù in maniera molto chiara e netta come una delle condizioni possibili. In questo sistema la schiavitù era sempre esistita, e dall’avvento dell’Islam emerge una regola non scritta per cui gli schiavi che si convertivano alla religione della maggioranza del posto in cui vivevano, avevano una vita migliore, malgrado non venissero liberati».
Anche se il provvedimento era noto, si pensava che non fosse mai stato applicato sino alle scoperte di Serena Di Nepi presso l’Archivio storico capitolino che «dimostrano come il provvedimento sia stato applicato ed avesse una storia più lunga, risalente almeno al 1516, se non prima. Ho trovato traccia di 900 e più schiavi che vengono liberati a Roma».
La tesi esposta è legata anche alla domanda su come conciliare la presenza a Roma di spazi di costrizione e punizione per le minoranze, come il Ghetto e la Casa dei Catecumeni, ed il fatto che da un lato tale pratica mostrasse una spinta verso una sorta di “tolleranza”. Un tema complesso legato anche al controllo del comportamento che fa sì che lo schiavo «deve materialmente andare a Roma e fare una serie di tappe nella città che dimostrino il suo essere un buon cattolico, ma la maggioranza degli schiavi infedeli non si converte come quelli a Civitavecchia e a Roma. Questo vale per la maggioranza degli schiavi musulmani presenti nello Stato della Chiesa e anche, ovviamente, per gli ebrei del ghetto, che non erano affatto schiavi e che, comunque, in linea di massima scelsero di non convertirsi e di continuare a vivere da diversi, con tutte le restrizioni che ne conseguivano» spiega Di Nepi.
Il fenomeno della schiavitù mediterranea studiato dalla professoressa aveva dei numeri altissimi. Alcuni studiosi parlano di milioni di schiavi, altri di 50-150mila in età moderna.
« I 900 schiavi che ho trovato e che vengono a Roma a farsi liberare sono pochissimi rispetto ai numeri globali, ma sono storie che raccontano in qualche modo la visione ed organizzazione della schiavitù portata avanti dalla chiesa cattolica» spiega di Nepi, che aggiunge che si tratta di «un argomento importante perché si collega alla storia del razzismo che viene ora cominciata a studiare soprattutto per l’area atlantica».
Tra i casi analizzati da Di Nepi, solo uno potrebbe forse essere riconducibile ad uno schiavo ebreo, ma come spiega la professoressa, «è molto dubbio. Nel Medioevo abbiamo casi di ebrei che possiedono schiavi non cristiani, documentati in tutta l’area mediterranea. Gli ebrei vengono naturalmente fatti schiavi e le comunità ebraiche si pongono seriamente il problema del loro riscatto, tanto che c’era una tassa che veniva raccolta a Roma ed in tutte le comunità di Italia per il riscatto degli schiavi. Era una sorta di fondo per le emergenze».
Il volume è frutto di dieci anni di lavoro di ricerca tra archivi, biblioteche, soprattutto a Roma. È un volume che indaga le regole del gioco per la storia della cittadinanza e per la gestione della diversità. Il libro verrà presentato domenica 12 dicembre alle 16.30 alla Fondazione Besso di Roma, con gli interventi di Sabina Pavone, professoressa ordinaria in Storia del Cristianesimo presso l’Università di Napoli L’Orientale, importante studiosa di storia dei gesuiti, e Lucio Biasiori, storico e docente presso l’Università degli Studi di Padova. La presentazione sarà coordinata dal Professor Umberto Longo, uno dei direttori della Collana.