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    Pesach a Tripoli

    Tratto da “Primavera ebraica” di Giulia Cassuto Artom, Casa Editrice Israel, Firenze, 5692 – 1931

     

    Uno dei giovani invitati al Seder in casa Mendes ha vissuto per un anno a Tripoli, per ragioni di commercio. Tanto gli è rimasto vivo nella mente il ricordo del Pesach passato nella bella città mediterranea, che ne ha voluto parlare ai ragazzi, dicendo: “Appena termina la festa di Purim, fervono a Tripoli i preparativi perPesach”.

    […] I cortili sono tutti ingombri di utensili di ogni sorta, di mobili e di attrezzi disparati, e le donne lavano ogni oggetto con cura minuziosa: dico lavano, ma in verità non si tratta di una pura e semplice lavatura; su ogni oggetto, su ogni mobile, le Ebree tripoline versano in gran copia secchi e secchi d’acqua, sicché da Purim a Pesach i cortili si trasformano in tanti piccoli laghi. Quando non mancano più che due o tre giorni per Pesach, si inizia come presso gli Ebrei di tutti i paesi, la bollitura degli utensili di metallo e di legno. Nei cortili, in enormi pentoloni, bolle l’acqua dove si immergono padelle, caffettiere, bricchi, vassoi, posate. Ma la legna costa cara anche a Tripoli, e la bollitura della roba dei poveri è fatta a spese di una società di beneficenza: in uno dei vicoli del quartiere ebraico l’acqua bolle in due immense caldaie, e in quel vicolo si affollano le donne e i bambini poveri, carichi dei loro miseri oggetti di cucina. […]

    Tra Purim e Pesach, in ogni casa, c’è pure molto da fare per le Mazzoth: a Tripoli ogni famiglia acquista il grano per conto suo, e questo grano viene poi portato ai mulini, ripuliti rigorosamente per l’occasione; non si tratta di moderni mulini elettrici, ma per la massima parte di semplici mulini di pietra, messi in movimento da un povero cammello bendato; e non crediate che da questi mulini esca, come da quelli moderni, la farina separata dal semolino e dalla crusca, tutt’altro. Il mugnaio rende il grano macinato, ma quanto c’è da fare ancora! Si prende il proprio sacco e si va a casa; là una o più donne, pratiche di questo genere di lavoro, con cinque o sei stracci di diversa finezza e con altrettanti recipienti di forme svariate, dividono la farina dal semolino e dalla crusca. Che lavoro lungo e paziente! Ognuno porta poi la sua farina al forno della Comunità per fare le Mazzoth, di svariatissime forme e disegni. Un uso caratteristico di Tripoli sono le Mazzoth fresche, che si fanno calde calde, giorno per giorno. In molte case, prima di Pesach, si impianta nel cortile un piccolo forno, e certe donne, pratiche nel fare e nel cuocere le azzime, girano di casa in casa, e fanno con una velocità meravigliosa, delle speciali Mazzoth che sembrano delle croccanti schiacciatine.

    Per Pesach ogni famiglia ebraica acquista un agnellino. Che belati risuonano nel quartiere ebraico i giorni precedenti a Pesach! Pare che i poveri agnellini presagiscano la loro fine; belano, belano, come se chiedessero pietà!

    Ma Pesach viene e ogni famiglia avrà il suo agnello, l’agnello tradizionale!

    Durante tutti gli otto giorni di Pasqua, gli Ebrei non fanno alcun lavoro; anche nei bei giorni di Chol Ammo’ed le botteghe, se si eccettua quelle di roba da mangiare, sono chiuse, e tutto il commercio è fermo. Così, mangiando, bevendo, passeggiando e andando al Tempio a pregare e a cantare, si arriva all’ultimo giorno di Mo’ed.

    Questo giorno è a Tripoli proprio caratteristico: per esempio, si prepara, per questo giorno il mangiare dei bimbi: le mamme fanno delle piccole azzime, delle microscopiche frittelle, delle polpettine… ine ine, dei piccolissimi dolci, e servono i loro bimbi e gli amici dei loro bimbi con tutta una batteria di utensili da cucina da bambola. […]

    Pesach è ora finito, e bisogna pensare al pane per l’indomani. Ma come fanno le donne a preparare il loro pane senza avere neppure un pezzettino di lievito? Impastano la farina, e oltre all’acqua aggiungono legbi (liquore estratto dalle palme) anaci, zibibbo, e altri ingredienti profumati gradevolmente. Sull’impasto, coperto da una candida tovaglia, mettono poi uova e mazzetti di fiori, simboli gentili di fertilità e di abbondanza. 

    Il giorno dopo le massaie si alzano per tempo, e trovano il loro impasto ben lievitato: fanno le pagnotte, in mezzo a ognuna mettono un bell’uovo sodo, e poi le mandano al forno. Tornano dal forno calde e profumatissime, e grandi e piccoli le divorano con avidità, dopo aver mangiato Mazzoth per otto giorni consecutivi!

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