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    Lo Shabbat e l’esercizio della libertà

    Pubblichiamo di seguito la prefazione di Stefano Folli al volume “Shabbat Shalom – Il rinnovamento dell’Umanità. Dialoghi con Riccardo Shmuel Di Segni e David Meghnagi” a cura di Dario Coen e con le illustrazioni di Micol Nacamulli (Gangemi Editore).

     

    Questa conversazione-intervista dedicata allo Shabbàt tra il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni e lo psicoanalista David Meghnagi realizzata da Dario Coen, è una miniera preziosa in cui il lettore può trovare mille motivi di riflessione. In primo luogo, è un viaggio attraverso il significato antichissimo e attuale dello Shabbàt, il sabato ebraico dedicato al riposo e codificato da regole precise, un tempo rigidissime e oggi in qualche misura scese a parziali compromessi con la modernità. Questa è la parte a cui è interessato soprattutto il lettore che segue nella fede i precetti religiosi, ma presto ci si accorge, leggendo, che tale aspetto è solo la porta d’ingresso verso altri e, in un certo senso, imprevedibili significati.

     

    Sarebbe infatti un errore credere che il volume, denso e avvincente, sia dedicato solo agli ebrei. A loro principalmente, certo: anche a quanti, riconoscendosi nella tradizione ebraica, danno tuttavia a tale adesione un’interpretazione “psicologica e culturale” più che religiosa, quindi prevalentemente laica. Il che significa recarsi poco o per nulla alla sinagoga il sabato, e magari celebrare il giorno del riposo con qualche gesto, qualche tratto peculiare che solo in senso lato rientra nell’ortodossia.

     

    Agli altri lettori, ai non ebrei, la lettura ha qualcosa da insegnare (aiutati in questo anche dalle splendide illustrazioni di Micol Nacamulli). È una ricognizione nella memoria, risalendo fino alle radici di una storia comune, benché scandita da terribili strappi: quelle che si definiscono le radici “giudaico-cristiane”, di cui si sarebbe voluto dare testimonianza nel preambolo della Costituzione europea (senza successo, come è noto). È un tema che ci introduce al dialogo tra le religioni, del quale Riccardo Di Segni è da anni un protagonista. Un dialogo che non è un sentiero coperto di fiori, se è vero che solo in tempi relativamente recenti gli ebrei hanno smesso di essere per la chiesa cattolica il “popolo deicida” e sono diventati “i nostri fratelli maggiori”, secondo la celebre affermazione di Giovanni Paolo II in visita nel 1986 alla sinagoga di Roma, accolto da Elio Toaff.

     

    Dice con grande saggezza ed erudizione il prof. Meghnagi conversando con il rabbino capo Di Segni e con Dario Coen, che talvolta per riconciliarsi coi padri occorre risalire ai nonni: perché quelle figure paterne, sì, però mediate e filtrate dal trascorrere del tempo, ti permettono di ritrovare le tue origini e pacificarti con esse meglio che attraverso un confronto diretto col padre biologico. Lo stesso vale nella vicenda umana, laddove storia e religione s’intrecciano così strettamente. Fratelli maggiori… Una definizione che abbraccia secoli di tragedie per aprire una via nuova alla speranza. Studiare la storia dello Shabbàt vuol dire perciò anche questo: cercare l’armonia non solo in ambito familiare, ma al fine di promuovere una comprensione più ampia, in grado di legare storie universali. Ben sapendo che l’intolleranza non è mai veramente sconfitta, mai realmente cancellata dalla nostra quotidianità, anche in nazioni come la nostra che si ritengono esenti dal pericolo di ricadere in un passato orribile che poi non è così lontano.

     

    La stessa guerra in Ucraina ha riproposto esempi di intolleranza che si pensavano estinti. C’è chi giustifica l’aggressione, chi pretende la resa degli aggrediti, chi odia la democrazia occidentale e non ha nulla da obiettare all’autocrazia putiniana. Né trova alcunché di scandaloso nel fatto che il rabbino di Mosca si è visto costretto a fuggire dalla Russia. Peraltro non c’è bisogno di ricordare quanto e come nel giudizio su Israele, dalla fondazione a oggi, l’antisionismo rappresenti la nuova forma di antisemitismo sulla bocca e nella penna di innumerevoli circoli intellettuali e politici.

     

    Riflettere su noi stessi partendo dall’analisi dello “Shabbàt”, che in questo libro viene così efficacemente sviluppata, significa proprio questo: ritrovare il filo della tolleranza con cui l’Europa della luce fece i conti con il “vecchio regime” tra la seconda metà del Settecento e l’Ottocento, il secolo del riscatto nazionale e del Risorgimento liberale. In Italia, ovviamente, ma non solo nel nostro Paese. Tutti sappiamo come Theodor Herzl abbia trovato negli scritti di Giuseppe Mazzini una fonte di costante ispirazione. E come il sionismo nasca alla fine del diciannovesimo secolo come risposta ebraica alle sopraffazioni in Europa, quasi una premonizione istintiva dell’orrore indicibile che si andava addensando. Del resto Mazzini va letto e compreso insieme al Carlo Cattaneo delle “Interdizioni israelitiche”, il saggio del 1836, poi ripubblicato nel 1860, in cui si chiedeva perfetta parità giuridica per gli ebrei che Napoleone aveva liberato dalle restrizioni medioevali nelle quali la restaurazione li aveva poi ricacciati.

     

    Oggi il rispetto delle tradizioni e delle norme religiose, come lo Shabbàt, va di pari passo con quel delicato equilibrio in cui ci si riconosce come cittadini laici della Repubblica italiana, figli di una vicenda complessa che coincide, come sosteneva Benedetto Croce in modo forse un po’ troppo ottimistico, con la storia della libertà che si afferma contro ogni ostacolo. Ma in definitiva la libertà è l’unico patrimonio davvero irrinunciabile di cui disponiamo per rendere forti le nostre società. E insieme ad esse le nostre coscienze.

     

    Il volume, che fa parte della collana “Roma ebraica”  del Dipartimento Beni Attività Culturali e della Comunità Ebraica di Roma con il contributo del suo Archivio Storico,.sarà presentato a Roma, in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica.


    Illustrazione di Micol Nacamulli

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