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    La stampa italiana di fronte al caso Dreyfus in un libro

    Il primo grande trauma per gli ebrei dell’Europa moderna avvenne quarant’anni prima dell’inizio della Shoà e non in Germania ma in Francia: fu il caso Dreyfus, l’accusa e la condanna a un ufficiale ebreo che essendo riuscito ad arrivare nella “stanza dei bottoni” del nazionalismo francese, lo Stato Maggiore dell’Esercito, e fu accusato a torto e condannato viziosamente per un episodio di spionaggio di cui era realmente colpevole un altro ufficiale, nobile e ricco di relazioni importanti. Come capita in questi casi, ancor più che per l’errore giudiziario in se stesso, e per l’antisemitismo che l’aveva reso passibile e plausibile agli occhi del mondo politico e militare, lo scandalo crebbe per la difesa ostinata e disonesta che ne fecero i responsabili dell’esercito, con inchieste interne manipolate e scorrette, processi in cui il vertice militare si sforzò in ogni modo di occultare l’imbroglio che era stato commesso ai danni di Dreyfus, solidarietà politiche viziose.

     

    Anche chi intervenne a difendere l’ufficiale innocente, come fece Emile Zola, fu a sua volta processato e condannato. Tutto ciò non era solo motivato dalla difesa corporativa della casta militare, ma soprattutto dell’odio per gli ebrei emancipati già da un secolo prima con la Rivoluzione Francese e apparentemente ben integrati nella società liberale. Fu un lungo trauma: la storia iniziò nel 1894 con l’arresto e il primo processo di Dreyfus, condannato alla degradazione e alla deportazione all’Isola del Diavolo che avvenne nel 1895. Poi, quando emersero le falsità dell’accusa ci fu un secondo processo svolto a Rennes in Normandia nel 1899 e concluso con una condanna molto addolcita, ma pur sempre condanna; nel frattempo, nel 1897 era uscito il “J’accuse” di Zola, condannato nel 1898. Solo nel 1906, dopo che le gerarchie politiche e militari che avevano cercato di usare  “l’ebreo” come capro espiatorio erano state sostituite e ed era stato individuato il vero colpevole del tradimento (il maggiore Ferdinand Walsin Esterhazy) ed erano emerse le complicità diffuse nello Stato Maggiore e nel governo, fino alla Presidenza della Repubblica, Dreyfus fu pienamente riabilitato.

     

    Dato che la Francia in quel momento era al centro della cultura e dell’economia europea, il caso Dreyfus non fu solo il più grande scandalo politico della Terza Repubblica Francese, ma anche un evento internazionale di primaria importanza. Come è noto, il più autorevole giornale viennese del tempo, la Neue Freie Presse, incaricò il più brillante dei suoi corrispondenti di seguire il processo. Era Theodor Herzl, che rimase così colpito dall’ingiustizia patita da Dreyfus e dall’evidenza conseguente dell’impossibilità per gli ebrei di integrarsi nelle società liberali europee, da dedicare anima e corpo alla costruzione del movimento sionista. Il congresso di fondazione di Berna seguì di soli tre anni il primo processo Dreyfus.

     

    Ma la vicenda fu seguita con grande attenzione e altrettanto notevole polarizzazione anche in Italia. Ce lo racconta con sguardo analitico e grande lucidità politica un libro di Enrico Serventi Longhi, docente di storia contemporanea presso l’Università di Roma Tre, che porta un titolo molto significativo: “Il dramma di un’epoca. L’affaire Dreyfus e il giornalismo italiano di fine Ottocento” (casa Editrice Viella). Serventi Longhi studia le corrispondenze dei numerosi giornalisti mandati dalla stampa italiana a seguire il caso Dreyfus, e in particolare il secondo processo celebrato a Rennes nel 1897, e fa vedere come il loro atteggiamento sullo scandalo dipendesse sì dalle convinzioni personali, ma soprattutto dallo schieramento ideologico delle loro testate. I giornali nazionalisti, per esempio, che per ragioni di politica generale erano antifrancesi, di solito si schierarono fra i sostenitori dell’innocenza di Dreyfus; i liberali erano invece francofili e stentavano a riconoscere che vi fosse stata una deformazione così profonda dei meccanismi giudiziari e amministrativi in un paese che ammiravano; i cattolici risentivano da un lato dell’atteggiamento antisemita che li portava a considerare verosimile il tradimento di un membro del popolo che secondo una polemica assai vivace in quel momento, aveva già “tradito Dio”; dall’altro però erano molto diffidenti nei confronti di una Francia repubblicana, laica e diffusamente massonica. Leggere le belle analisi di Serventi Longhi ci permette non solo di seguire dal punto di vista dei giornalisti del tempo il processo Dreyfus, ma anche di vedere dei meccanismi di condizionamento della stampa che ritroviamo poco cambiati nella loro sostanza ancora oggi.

     

    “Il dramma di un’epoca. L’affaire Dreyfus e il giornalismo italiano di fine Ottocento” di Enrico Serventi Longhi sarà presentato giovedì 19 gennaio alla Biblioteca nazionale centrale di Roma.

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