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    L’incapacità tedesca a Monaco: intervista a Sergio Della Pergola, figlio di Massimo inviato ai Giochi del ‘72

    “Ricordo perfettamente quel giorno. Vivevo già in Israele”, racconta a Shalom Sergio Della Pergola, demografo all’università di Gerusalemme, grande esperto sulla popolazione ebraica mondiale e figlio di Massimo, il giornalista sportivo italiano, autore del Totocalcio, che assistette alla strage alle Olimpiadi di Monaco nel ‘72.

     

    Cosa ricorda di quel giorno?

    Ero a casa del mio professore parlando del dottorato quando la radio iniziò a dare queste terribili notizie. Sospendemmo la riunione di lavoro e ci mettemmo ad ascoltare. L’impatto immediato fu drammatico. Mio padre era noto in ambito sportivo, l’inventore della schedina, ma anche attivo in ambito ebraico e presidente storico del movimento Maccabi in Italia e anche a Roma molto apprezzato. Si trovava a Monaco in quanto giornalista sportivo di primo piano e seguiva le Olimpiadi, ma era anche coinvolto con la nazionale israeliana per motivi di cuore.  Era vicinissimo agli avvenimenti e noto nell’ambiente del comitato olimpico internazionale presieduto allora dall’australiano Avery Brundage, un personaggio di un’altra epoca, un po’ coloniale, impregnato di ideali puri ma non realistici.

     

    Per chi scriveva suo padre?

    Era inviato per molti giornali sportivi, Lo Stadio di Bologna, Il Corriere dello Sport, La gazzetta. Il villaggio olimpico era un’enorme struttura che ospitava 25mila atleti e aveva strade intitolate a vari campioni come a James Connolly, atleta statunitense, dove si trovava la delegazione israeliana. I tedeschi non l’avevano particolarmente protetta forse per un perverso complesso per quanto successo durante la guerra e temevano cosa si potesse dire a livello internazionale se ci fossero stati poliziotti con pistole o fucili nella palazzina degli atleti israeliani. Non c’era nemmeno un custode armato come invece c’era nelle altre palazzine delle altre delegazioni.

     

    Quale fu la sensazione in quel momento?

    Noi abbiamo l’immagine facilona della super efficienza tedesca che in parte purtroppo ha funzionato nella storia, in parte anche un mito e quindi restammo sbalorditi dall’incapacità delle forze di sicurezza tedesche di gestire la situazione. Rifiutarono per orgoglio l’aiuto dei servizi israeliani.

     

    Cosa le raccontò suo padre?

    Vide con orrore l’impotenza, l’incapacità e la tragedia umana. Nessuno pensava che si potesse arrivare a questo. Ci siamo sentiti, nell’immediato pensavamo che potesse essere in pericolo anche lui perché poteva essere tra i mediatori, essendo molto amico dei capi del comitato olimpico e della delegazione israeliana.

     

    Cosa lasciò a suo padre la strage di Monaco ’72? 

    Era duramente colpito. Mio padre ha avuto nella sua vita molte tragedie ed era uno che reggeva bene il colpo. Chi lo conosceva a Roma sapeva che era un uomo che aveva umorismo ed era molto affabile. Nella Shoah aveva perso il fratello maggiore ad Auschwitz, zie e cugine, la famiglia era stata sterminata. Lui si salvò con mia madre, mia nonna e me infante in una drammatica fuga a piedi per la Svizzera. Ha sempre mantenuto un atteggiamento estremamente positivo, ha sempre detto che l’ottimismo e l’azione sono fondamentali. Ma anche l’umiltà, mai montarsi la testa, non dimentichiamoci che aveva inventato la schedina, 2-x-1, che lo Stato gli rubò, Giulio Andreotti nazionalizzò il Totocalcio, e solo successivamente ebbe gli indennizzi.

     

    Dopo Monaco, l’ha raggiunta in Israele?

    No, io vivo qui dal 1966, lui diventò il segretario generale dell’Unione mondiale dei giornalisti sportivi. Conosceva diverse lingue ed era in grado di trattare con persone di altri paesi. Si trovò successivamente a mediare tra i sovietici, gli arabi e gli israeliani. Questo era il suo atteggiamento per cercare di risolvere i problemi. Nella fattispecie di Monaco, la tragedia si poteva prevenire ma si è arrivati all’epilogo peggiore.

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