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    Cultura

    Il patrimonio bibliografico e archivistico delle Comunità Israelitiche Italiane nella relazione Sonne

    Il patrimonio bibliografico e archivistico delle Comunità israelitiche italiane è davvero prezioso. Oggi è possibile consultarlo e studiarlo grazie soprattutto al grande lavoro pionieristico svolto dallo studioso galiziano Isaia Sonne (1887-1960). In Italia, durante gli anni Trenta del Novecento, l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane (UCII) incaricò lo studioso Sonne di compiere una ricognizione presso le comunità ebraiche sparse sul territorio italiano, al fine di valutare la consistenza del patrimonio bibliografico, di testi e di manoscritti in loro possesso. Proprio su questo verterà l’incontro “LIBRI IN LISTA E LISTE DI LIBRI – La relazione di Isaia Sonne dopo il giro per le Comunità ebraiche d’Italia fra gli anni 1934 e 1936”, con Serena Di Nepi, Professoressa associata di Storia Moderna presso la Sapienza Università di Roma, che avrà luogo martedì 2 aprile alle 18:00 in presenza, presso la Biblioteca Nazionale dell’Ebraismo Italiano “Tullia Zevi” e in streaming.
    “La mia relazione accende l’attenzione sul fatto che sebbene questo catalogo, realizzato da uno studioso che aveva avuto poco tempo, facendo un giro d’Italia e cercando di mettere nero su bianco quello che sarebbe servito per fare una catalogazione completa per i criteri ritenuti scientifici ed essenziali, sia davvero brillante, – spiega a Shalom la storica Serena Di Nepi – siamo agli albori di una disciplina ritenuta a metà tra la biblioteconomia, l’archivistica e la storia del libro che conosciamo oggi. Questo si vede chiaramente della relazione di Sonne, proprio perché tiene affiancata una descrizione archivistica e bibliotecaria, cosa che oggi farebbero professionisti diversi”.
    Un patrimonio prezioso ma spesso difficile da poter comprendere per le Comunità israelitiche, che tentavano un primo approccio con i loro stessi averi. “Per il momento la relazione di Sonne, rappresenta il primo incontro del patrimonio ebraico italiano con il proprio patrimonio post emancipazione. Sonne manderà infatti un primo questionario, che verrà poi compilato dai singoli rabbini delle Comunità, scrivendo a grandi linee cosa avrebbe trovato nella sua ricerca – prosegue Di Nepi – La prima cosa che saltò fuori era l’enorme consistenza del patrimonio ebraico- italiano. Un patrimonio gigantesco dovunque, non solo nelle comunità note come Ferrara, Roma o Venezia ma ovunque. La seconda novità è che questo patrimonio non è conosciuto ed è un misto tra libri e materiali di biblioteca. Ma c’è tuttavia un problema: conoscere abbastanza bene l’ebraico per comprendere il valore di tutto questo, e conoscere ancor meglio la cultura ebraica. E qui, Isaia Sonne era uno dei pochi al mondo che poteva muoversi in quel momento”
    Un lavoro di enorme pregio, rimasto per lungo tempo inedito, che ricostruisce come una “fotografia” la consistenza e dello stato di conservazione del patrimonio bibliografico e archivistico di più venti comunità ebraiche italiane, tra cui anche Rodi. “Una cosa importante che Sonne nota è infatti che le biblioteche delle Comunità hanno tutte un substrato comune: ovvero le varie Chevrot, le confraternite, che si occupavano di istruzione. Ma la relazione ci segnala, con estrema chiarezza, come le comunità italiane in epoche difficili, dunque tra il ‘500 e il ‘600, si mantennero aggiornati sulle novità editoriali, combattendo una realtà strenua per mantenere un rapporto con i testi classici, anche e soprattutto quelli condannati dal l’Inquisizione – sottolinea la storica Di Nepi – da notare una buona attestazione della presenza di edizioni del Talmud, probabilmente, comprate post l’unità. Ma anche i dizionari talmudici che permettono gli studi rabbinici anche in tempi più difficili, mantenendo anche un controllo dell’osservanza religiosa in periodi di estrema marginalizzazione. La relazione di Sonne ci lascia anche le uniche descrizioni che abbiamo delle biblioteche disperse, quindi Roma e Fiume. Ma soprattutto ci ricorda quanto, ancora una volta, sia complesso lo studio sulla cosiddetta “età dei ghetti” conclude la Professoressa Di Nepi.

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