“‘Io [il Droghiere Cesare Lepore, nda] non ho mai parlato con la Nina [Anna o Nina Morisi, nda] di quel vostro ragazzotto [Edgardo Mortara, nda] molto meno, non ho mai suggerito a colei di dargli battesimo […] ed è tanto vero ciò che a dir la verità avrei bisogno io stesso d’essere istruito se dovessi farlo per farlo bene’ ”. Con queste parole il “Giudice Processante Giubilato” Dr. Carlo Maggi provò a dare il suo contributo nel disperato tentativo di far tornare Edgardo ai suoi genitori che lo videro portare via con la forza dalla loro casa in Bologna perché una loro domestica “pareva” lo avesse battezzato. Tale testimonianza, risalente all’11 ottobre 1858, si trova in un fascicolo conservato presso l’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma “Giancarlo Spizzichino”, datato 5 ottobre 1858, a cura del Segretario Sabato Scazzoocchio.
L’Universitas Hebreorum Urbis si mosse come era solita fare quando vi erano controversie con l’autorità pontificia, ovvero attraverso vie legali, quindi testimonianze e riferimenti alle leggi, cercando di invalidare il battesimo sia perché non effettuato in modo corretto, sia screditando colei che lo aveva somministrato descrivendola come donna di facili costumi e ladra. Sono riportate dieci testimonianze sulla condotta di Anna Morisi di San Giovanni in Persiceto e sul fatto che né Edgardo, né altri figli dei Mortara, fossero mai stati in pericolo di morte per malattia.
La Morisi, nell’autunno del 1857, dopo essere stata a servizio dalla famiglia Mortara, passò a lavorare dalla ventiduenne Elena Pignatti Santandrea, “Pizzicagnola”, dove restò solo tre mesi in quanto la Pignatti scoprì una sua “tresca” sia con un capitano austriaco, sia con il “Ministro” del proprio negozio, dove, oltretutto, risultò “scomparire” della merce. Tali furti effettuati da parte della Morisi e della di lei cognata Assunta Bongiovanni a servizio dopo di lei, furono confermati pure dall’altra domestica dei Mortara, Anna Facchini, testimone, inoltre, delle relazioni con gli “Officiali tedeschi” (l’Impero austriaco, come paese cattolico, si pose a difesa del Papa a Bologna proprio perché la città aveva mostrato insofferenza verso il dominio papale).
Anche Enrico Mattioli, “Agente di Negozio” dei Mortara, vide dei militari “corteggiare, toccare, e prender confidenze sulla detta Nina […] che mostravano esser fra’ [sic] loro in relazione molto libera”. Geltrude Laghi Toschini diede alloggio ad alcuni ufficiali tedeschi nella sua abitazione che era attigua a quella del Mortara e vide spesso la Morisi farvi visita. Inoltre, ricorda che Rosalba o Rosina Ungarelli Pancaldi, “conduttrice del caffè detto Barrera” e inquilina nello stesso palazzo dei Mortara, raccontò alla Toschini di aver visto la domestica introdursi in una stanza dove era un ufficiale tedesco e “mossa da curiosità, fattasi coll’occhio al buco della chiavatura, aveva per di là veduto che erano tutti e due a letto in atto osceno”, in quel momento la Pancaldi vide il Mortara rientrare e quindi avvertì alla Morisi, la quale uscì dalla stanza dicendo: “Che fotta ho fatta”. A tale riguardo, la stessa Pancaldi raccontò che “si lasciava, come suol dirsi, palpare dalle dette ordinanze” e confermò che “spesso al vedermi ripeteva le parole ‘Oh che fotta’ in atto di riderne e burlarne”, comportamento avvalorato anche dalla sua donna di servizio Maria.
Per quanto concerne la malattia di Edgardo, Maria Cappelli narrò che sua madre andò per pochissimi giorni a casa Mortara per aiutare in quanto il bambino ebbe “una malattia da ragazzi”, “di nessuna entità”, e contemporaneamente la domestica Morisi fu “incomodata a letto di fortissima colica”. Per lo stesso motivo fu chiamata dai Mortara pure Ippolita Facchini Grandini, a servizio a casa di Salomone Ravenna abitante a quell’epoca nella stessa via della famiglia Mortara, per tre o quattro giorni “onde supplire alla mancanza della loro serva”, in quanto indisposta, aiutando la signora Marianna nell’assistenza a Edgardo che, pur essendo i genitori preoccupati perché “amatissimi [sic] di tutti i loro figli”, fu visitato dal dottore il quale “si rise della malattia e le [alla madre, nda] disse che era cosa da nulla”. Testimonianza confermata dalla figlia di Ippolita, Marianna Grandini Cesari. Del medico, il Dr. Saragoni, parlò anche Giuseppina Borghi Ruzzoli, che abitava nello stesso palazzo dei Mortara, la quale ricordò come Edgardo “in due o tre giorni fu perfettamente risanato”.
Purtroppo allora la vicenda di Edgardo era assurta alle cronache come caso politico, come attacco al Papa “liberticida” e, in tale frangente, non vi fu possibilità di restituire il figlio alla famiglia disperata. Il ragazzo fu indottrinato contro i genitori e la loro fede, e visse una vita, come testimoniano i suoi diari, sofferente e piena di incongruenze.
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