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    Cultura

    Il Dibbuk, fantasma di un mondo scomparso in mostra a Parigi al MAHJ

    “Il Dibbuk, fantasma di un mondo scomparso” è il titolo della mostra inaugurata al MAHJ, il Museo di Arte e Storia Ebraica di Parigi. Attraverso più di 200 documenti e opere, dai dipinti di Marc Chagall alle performance di Sigalit Landau, dal film yiddish di Michał Waszyński del 1937 a quelli di Sidney Lumet e dei fratelli Coen, il percorso espositivo esplora una delle figure più sorprendenti della cultura ebraica: l’anima di un morto condannato a vagare e a possedere i vivi. Il mito del Dibbuk è una chiave di lettura dell’identità ebraica, abitata da un passato traumatico e dalla paura della sua scomparsa.

    Nell’ebraismo, i primi racconti popolari di uno spirito che possiede un essere umano risalgono al XIII secolo; ma fu la pubblicazione, nel 1918, del Dibbuk, un’opera teatrale di Sholem An-ski (1863-1920), che diede a questa leggenda la sua notorietà. Ispirata alle tradizioni orali raccolte dallo scrittore durante le sue spedizioni etnografiche compiute in Volinia e Podolia (oggi Ucraina) tra le popolazioni ebraiche chassidiche, l’opera raffigura le tragiche vicende amorose di Chanan e Lea: colpito dal dolore per il rifiuto della sua promessa sposa, Chanan muore, ma torna sotto forma di dibbuk ad abitare il corpo della sua fidanzata, si esprime attraverso di lei per rifiutare l’unione di Lea con un altro pretendente. Una cerimonia di esorcismo cerca di espellere lo spirito che perseguita la giovane ragazza, decisa a seguire il suo amato, finché lo raggiunge “tra due mondi”. Messo in scena in yiddish a Varsavia nel 1920 dalla Vilner Trupe, il Dibbuk sedusse subito, sia per il soggetto che per la realizzazione che seguiva i canoni espressionisti. La sua versione ebraica, del poeta Haim Nahman Bialik, fu poi rappresentata dal 1922 al 1963 in Europa, negli Stati Uniti e nella Palestina mandataria, dalla troupe moscovita Habima. Seguirono una dozzina di altre traduzioni, in particolare in francese nel 1927. Attualmente esistono più di cento adattamenti di questo testo: nel cinema, nel teatro, nell’opera e nel campo delle arti visive. Il più emblematico rimane il film di Michał Waszyński del 1937, uno degli ultimi film yiddish girati in Polonia prima della Shoah, il cui successo internazionale segna il culmine di una cultura prima della sua distruzione.

    Chagall Marc (1887-1985). Paris, Centre Pompidou – Musée national d’art moderne – Centre de création industrielle. AM1988-57.

    Dagli anni ’60 del secolo scorso in poi, la figura del dibbuk divenne la metafora del “ritorno del rimosso”. Fu anche il nome in codice scelto per designare il criminale di guerra Adolf Eichmann quando i servizi segreti israeliani lo localizzarono in Argentina. Nel 1967, Romain Gary pubblicò “The Dance of Gengis Cohn”, la storia di un ex SS abitato dal dibbuk di una delle sue vittime. Negli Stati Uniti, Sidney Lumet al cinema e Leonard Bernstein, all’opera, fecero conoscere il dibbuk al grande pubblico. In Polonia, dopo la caduta della cortina di ferro, venne rappresentato a teatro da Andrzej Wajda, Krzysztof Warlikowski e Maja Kleczewska.
    La mostra, che rimarrà aperta fino al 26 gennaio 2025, beneficia di prestiti di numerose istituzioni americane, francesi, israeliane, polacche e inglesi, è accompagnata da un ricco programma culturale di proiezioni cinematografiche, conferenze, dibattiti e atelier dedicati a bambini e ragazzi. Il catalogo, co-pubblicato dal MAHJ e da Actes Sud, offre una ricca iconografia e raccoglie i contributi di Emma Abate, Jean Baumgarten, Samuel Blumenfeld, Debra Caplan, Judah Cohen, Valery Dimschitz, Leah Gilula, Agnieszka Legutko, Pascale Samuel, con una interessante antologia di testi del mondo chassidico.

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