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    Cultura

    Il conflitto tra emancipazione e assimilazione nel nuovo romanzo di Lia Levi E se non partissi anch’io

    L’illusione dell’emancipazione, ma anche il rischio dell’assimilazione sono al centro del nuovo romanzo di Lia Levi E se non partissi anch’io, edizioni e/o, ambientato all’inizio del ’900. Gli ebrei di Roma, abbattuti finalmente i cancelli del Ghetto, possono vivere in tutte le parti della città; così fa anche Benedetto Sabatello, che va a vivere a viale del Re, oggi viale Trastevere, e apre un negozio di libri antichi in centro, vicino a piazza di Spagna. Ma la moglie Rosina è di tutt’altra pasta, legata ancora a Portico d’Ottavia e alla Parnassessa, sarta e moglie del Parnas, il guardiano del Tempio. Rosina non capisce i tempi moderni, né tantomeno il marito, viene da una famiglia più semplice e mantiene una sorta di diffidenza per ciò che non è ebraico. La coppia ha due figli, Ida e Vittorio, ma è la ragazza ad essere la favorita del padre e la protagonista del romanzo.

    Assecondando i tempi moderni, Benedetto sceglie infatti di mandarla ad un liceo con classi miste in centro, uno scandalo per Rosina. Dopo un primo momento di isolamento, Ida fa amicizia con Vanessa, figlia di un’importante figura politica, Irene Lotti, giornalista e attivista, che desta l’ammirazione di Benedetto. Ida e Vanessa formano poi un trio con Andrea, ragazzo stravagante, dagli abiti stazzonati, ma “che si capivano che erano roba da ricchi”. I tre passeranno così gli anni del liceo, a casa di Ida per studiare il pomeriggio con Olimpia, la domestica goya, non ebrea, a preparare merende per i giovani. Su di loro, arriverà la guerra, le discussioni tra neutralisti e interventisti all’interno del partito socialista con Irene Lotti descritta come la “vestale del pacifismo”. Benedetto, invece, è combattuto al suo interno: come socialista è contrario alla guerra, ma gli ebrei sono favorevoli per completare la liberazione iniziata con la presa di Porta Pia quando il capitano ebreo Giacomo Segre aveva sparato il colpo di cannone che aveva portato al crollo dello Stato Pontificio. “Gli sfugge un lampo luminoso negli occhi quando sente parole come nuovo Risorgimento Italiano. E proprio in un attimo simile, cantando E se non partissi anch’io, è riuscito a far sentire Ida come in volo”. Attraverso la seconda strofa di Addio, mia bella, addio, ovvero e se non partissi anch’io, Lia Levi descrive il sentimento della comunità ebraica all’indomani del Maggio Radioso che portò l’entrata in guerra dell’Italia e dove molti furono i soldati e gli ufficiali ebrei che combatterono e morirono per liberare Trento e Trieste al culmine del processo di emancipazione. In senso lato, una frase che ha a fare anche con la frase di Dio ad Abramo: vai e parti.

    Le ragazze si trovano ad affrontare tutte le conseguenze per chi resta in città. La governante di Vanessa le porta ad aiutare le donne proletarie che hanno i mariti al fronte. Ida si metterà a dipingere i ritratti di mamme e figli da mandare ai mariti e a scrivere lettere per loro. E qui ci sarà un’altra illusione, quella dell’emancipazione femminile. Nel momento della guerra, le donne prenderanno il posto dei mariti al lavoro: Agnese in fabbrica, Filomena alla guida di un tram, Angelina invece disoccupata perché non sa a chi lasciare i tre figli. Ma intanto, Ida ha trovato la sua passione, quella del disegno e ha deciso che vorrà diventare insegnante. Fino a quando, Rosina, preoccupata dalla troppa libertà di sua figlia e palesando il pericolo dell’assimilazione, le trova un fidanzato ebreo, Valerio. Ma, seppur bellissimo con i suoi riccioli scuri, Valerio sarà all’altezza dei tempi che corrono? Riuscirà a capire Ida e la sua voglia di insegnare non accontentandosi del ruolo di moglie e madre? E soprattutto cosa ne penserà la sua famiglia? Saranno le vicende stesse dei giovani a farci capire quanto sia vicino o lontana l’emancipazione ebraica e femminile.

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