Quello che non abbiamo potuto gridare e urlare al mondo l’abbiamo nascosto nella terra […] Ora possiamo morire in pace.
David Graber, 19 anni, 2 agosto 1942, membro dell’Oneg Shabbat, non sopravvissuto. Parole scritte dopo aver sepolto i primi documenti.
Archivi Ringelblum I, n.132
Il 18 settembre 1946 una strana “spedizione archeologica” (come scrisse una protagonista) si aggirava fra le rovine del ghetto di Varsavia. Con estrema cautela i partecipanti scavarono in alcuni punti fra le macerie, fino a far emergere 10 scatole metalliche. Dopo il primo recupero, la ricerca continuò sulla base delle indicazioni memorizzate dai pochissimi superstiti e portò nel 1950 al ritrovamento di alcuni bidoni metallici del latte. All’interno dei contenitori c’erano ogni genere di documenti (diari, interviste, lettere, immagini memoriali, manifesti, programmi…) che raccontavano la storia del ghetto di Varsavia.
Tutto era cominciato per iniziativa di uno storico ebreo polacco: Emanuel Ringelblum (1900-1944). figlio di un mercante di granaglie, con una solida cultura generale ed ebraica. Al liceo aderì presto al movimento sionista di impronta marxista, Poalei Zion e, più tardi, trasferitosi a Varsavia per proseguire con gli studi universitari, insegnò in licei ebraici e polacchi. Le sue ricerche si diressero presto verso la storia dell’ebraismo polacco e verso la salvaguardia dello yiddish; entrambe le attività trovavano sbocco anche nelle conferenze, negli articoli e nelle iniziative educative all’interno dell’organizzazione giovanile dei Poalei Zion. Accolse con entusiasmo la fondazione dello YIVO, l’Istituto per la ricerca della storia e della cultura degli ebrei dell’Europa dell’Est. Allo scoppio della II guerra mondiale, Ringelblum era uno dei più apprezzati giovani storici ebrei polacchi, attivo anche nell’assistenza ai correligionari più sfortunati attraverso il Joint.
Quando, nell’autunno del 1940, circa 450.000 ebrei furono rinchiusi nel ghetto di Varsavia, Ringelblum e la sua famiglia erano fra loro. La sua esperienza politica, organizzativa e assistenziale si tradusse in una intensa attività di sostegno alla popolazione reclusa, ma alla metà del 1941 cominciò a rendersi conto che non era possibile salvare le persone dalla lenta morte per inedia e dalla deportazione. Fu allora che, utilizzando inizialmente la stessa rete di collaboratori che gli aveva consentito di creare mense popolari, per poi estenderla, decise di documentare tutto quello che avveniva nel ghetto. Il gruppo dell’Oneg Shabbat (Oyneg Shabes in yiddish), così chiamato perché usava riunirsi all’uscita dello Shabbat, si dedicò alla stesura e raccolta di diari, lettere, memoriali, saggi storici e sociali, cronache, interviste, verbali dello Judenrat, per documentare la vita quotidiana del ghetto, dalla fame alla straordinaria sopravvivenza di attività didattiche e culturali attraverso relazioni scientifiche, giornali, disegni, testi poetici e di canzoni, manifesti e barzellette. Dal 1941 furono registrate notizie e testimonianze di stragi e massacri e poi lo sterminio sistematico degli ebrei in atto nei campi di Chełmno, Bełżec, Sobibór e Treblinka. L’archivio fu creato da circa 60 persone, con grave rischio personale e nella massima segretezza.
Inizialmente, i componenti del gruppo pensavano di raccogliere materiale per un libro sulla storia del ghetto, da scrivere dopo la guerra. Ma, con l’inizio delle deportazioni di massa nel 1942, si fece strada la consapevolezza che le speranze di sopravvivenza erano pressoché inesistenti. I documenti venivano spostati continuamente per salvaguardarli dalle retate naziste. Fra questi “archivisti” c’erano rabbini e comunisti, studiosi noti e gente qualunque, era “un organismo unito, consapevole di avere una missione”, come scrisse lo stesso Ringelblum. Persa ogni illusione, si cercò di documentare il sorgere della resistenza armata. Fra gli ultimi documenti si trovano i testamenti morali di alcuni componenti del gruppo. All’inizio del 1943, l’Oneg Shabbat decise di cominciare a sotterrare l’archivio. Ringelblum ebbe la possibilità di uscire dal ghetto e nascondersi a Varsavia, ma continuò ad andare e venire per svolgere il suo lavoro. Si trovava lì allo scoppio della rivolta, il 19 aprile 1943; catturato, riuscì a fuggire. Nascosto in un bunker sotterraneo, completò saggi storici e profili dei leader combattenti. Tradito e scoperto con altri nel bunker fu fucilato con la sua famiglia fra le rovine del ghetto all’inizio di marzo del 1944. Del gruppo dell’Oneg Shabbat si sono salvati solo in tre: la scrittrice Rachel Auerbach, il segretario dell’archivio Hersh Wasser, sua moglie Bluma. A loro dobbiamo i ritrovamenti.
La parte fino a oggi recuperata dell’archivio è composta da circa 6.000 documenti (per un totale di circa 35.000 pagine) conservati a Varsavia presso il Jewish Historical Institute. Manca ancora una terza parte, mai finora ritrovata. Nel 1999, l’archivio è stato inserito nel Registro della Memoria del Mondo dell’UNESCO.