Skip to main content

Ultimo numero Gennaio – Febbraio 2025

Scarica il Lunario 5785

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati







    Cultura

    Eva Fischer, la speranza nei colori: la mostra che ha appassionato Livorno

    Ha entusiasmato alunni, professori e visitatori la mostra su Eva Fisher che si è chiusa da poco a Livorno. Gli studenti della scuola Bartoleva hanno esposto nell’area della Lanterna del Museo della città le loro opere ispirate da 27 acqueforti e acquetinte della pittrice scampata allo sterminio in cui sono morti il padre e tutta la sua famiglia d’origine. La mostra nasce come approfondimento della tematica della Shoah dalla scuola di infanzia alla secondaria di primo grado, con lo scopo di contrastare le forme di odio.
    Tra gli organizzatori la professoressa Monica Leonetti Cuzzocrea che spiega a Shalom come è nata l’idea della mostra. “Partecipavo a un seminario di didattica della Shoah dell’Università di Firenze diretto da Silvia Guetta dove era presente Alan David Bauman, il figlio di Eva Fischer. Si parlava di come l’arte influisca nei sentimenti e di come nel tema della Shoah la parte artistica venga poco considerata. Bauman ci ha mostrato i quadri della madre e ci ha chiesto cosa suscitassero in noi docenti. È stato in quel momento che mi è venuta l’idea di far approcciare i ragazzi alla Shoah proprio a partire dall’arte. A scuola mi occupo di percorsi della memoria già una decina di anni”.

    Così Monica Leonetti Cuzzocrea contatta di nuovo Bauman che concede alcune litografie di Eva Fisher. Il percorso porta i ragazzi anche al campo di Fossoli e al museo del Deportato politico e razziale di Carpi dove scopronoscritte e graffiti che li colpiscono profondamente. “Le opere sono tutte simboliche – spiega la professoressa – ma hanno portato i ragazzi ad affrontare il tema della memoria non soltanto con i dati e la storia, ma anche attraverso l’arte. Abbiamo fatto conoscere loro le opere di Eva Fischer e abbiamo spiegato che c’era la possibilità di averle al Livorno. Se avessero voluto, avrebbero potuto mettersi in gioco e approfondire questa tematica in modo nuovo”.
    La mostra inizia allora a prendere forma, ma Leonetti Cuzzocrea vuole coinvolgere anche i bambini più piccoli e ci riesce grazie al libro di Alan David Bauman 1, 2, 3 stella: la Shoah a colori.
    “Per i più piccoli ho pensato di partire dai simboli, nell’infanzia la stella è una cosa che può avere tanti risvolti e quindi può avere delle letture diverse. Così abbiamo messo in essere un progetto dove dalla materna alla terza media tutti leggevano le opere di Eva Fischer secondo i propri sentimenti, capacità, conoscenze, competenze. Hanno aderito circa 400 studenti che, insieme ai docenti, hanno progettato il percorso della mostra. C’è chi ha scelto la simbologia delle stelle, chi le scarpe, i ragazzi più grandi si sono ispirati e hanno dipinto mentre guardavano i quadri di Eva riproducendo i loro sentimenti, cosa suscitavano, le sensazioni”.

    “È stato un allestimento essenziale, abbiamo voluto che fosse usato materiale riciclato, volevamo dare risalto alle opere di Eva che dovevano veramente dialogare con le creazioni dei nostri ragazzi. Abbiamo quindi pensato a un muro di cartone che divide, come nel caso delle leggi razziali, ma che può essere anche abbattuto”.
    Così i bambini della materna hanno colorato la stella ebraica a rappresentare le anime di chi non c’è più, quelli delle elementari hanno dipinto le scarpe di oggi, simbologia presa dai vari musei della Shoah ma anche dai dipinti di Eva Fisher. Per quanto riguarda i ragazzi delle superiori, hanno creato e pitturato scatole ascoltando la musica di Ennio Morricone e guardando le opere di Eva. Ne sono venute fuori alcune opere scure, altre con macchie di colori molto vive e forti, quasi, però, tutte astratte. “I ragazzi non hanno disegnato i campi di sterminio, ma colori che nascevano dall’anima. Una mostra che ci ha dato l’input per poter fare un percorso strutturato, non un evento che scivola via ma che ha lasciato un segno a chi l’ha visto”.

    CONDIVIDI SU: