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    Elena Loewenthal costruire ed essere costruito all’ombra del ricino

    Elena Loewenthal, scrittrice, saggista, traduttrice, direttore della Fondazione Circolo dei Lettori di Torino, è in libreria con “All’ombra del ricino”, nella collana Il bosco degli scrittori di Aboca edizioni. Shalom l’ha incontrata.

     

    Perché ha deciso di raccontare le storie di un arbusto, non di un albero?

    Il ricino è una pianta modesta ma straordinaria, ambigua, ambivalente, spiazzante, un piccolo fusto quasi raso terra con rami in ordine sparso, pieno di ambizioni e contraddizioni, ma niente più. Quel poco che è si fa grande, dentro la storia. Cambiando ogni volta significato. Come ogni altra cosa al mondo, il ricino non è un punto in fondo a una frase ma una parentesi sempre aperta, un miscuglio di bene e male, di provvidenza e dannazione, di vita e morte e tutto quanto c’è in mezzo.

     

    Quali sono le proprietà benefiche e malefiche del ricino, nelle varie epoche storiche, su cui invita i lettori a riflettere?

    Nel racconto biblico di Giona, profeta riluttante e disubbidiente, il ricino è la prova dell’esistenza di un Dio onnivedente. Giona fa e pensa tutto il contrario di quello che dovrebbe fare e pensare un profeta. Eppure lo è, e sotto l’ombra modesta, anzi irrisoria, del ricino, trova la parola che cerca.  Ma il ricino è anche l’infausto olio, strumento di tortura del fascismo. Per me è stato un micidiale purgante che mi ha aiutato a diventare madre della mia prima figlia, allargando il canale del parto e permettendole di venire al mondo, compiendo Il viaggio più lungo e vertiginoso di sempre.

     

    David Ben Gurion il primo Primo Ministro d’Israele che pronunciò la dichiarazione d’Indipendenza dello Stato il 14 maggio 1948, è un protagonista importante del libro: i suoi dialoghi con Moshe Findelkrais permettono di scoprire il suo temperamento e la sua profonda umanità. Nella narrazione, ad esempio, dice: “sai, caro Moshe, a volte mi viene proprio voglia di scappare via da me stesso come ha fatto il profeta Giona”

    David Ben Gurion andava in spiaggia e si metteva a testa in giù perché, diceva, quella posizione era provvidenziale per mettere ordine ai pensieri. Su quella stessa spiaggia di Tel Aviv, secoli e millenni prima, mi è piaciuto collocare Giona il piccolo profeta biblico che arriva trafelato, in fuga dall’ordine di Dio che gli ha appena detto: “Vai in questa direzione, a fare il tuo lavoro di profeta”. E lui niente, si mette a correre nella direzione opposta. E scappa, scappa dal destino sino a quando Dio non gli mette davanti una pianta di ricino.

     

    Come è Tel Aviv “All’ombra del ricino”, Tel Aviv di Ben Gurion e come invece è Tel Aviv di Elena Loewenthal?

    Tel Aviv è il simbolo della rinascita di un popolo in un paese in cui il tempo, come nella mia storia, va all’indietro anziché avanti.  È una città che ha fretta di vivere, ha millenni di passato da recuperare. Tel Aviv è una città di sabbia, una materia perenne ma volatile. Amo Tel Aviv, è sconfortante, cara difficile. Ho molta nostalgia per quello che era e per quello che continua a essere per me. Quello che mi accomuna a Ben Gurion è l’amore per la città, per Israele. Ho un legame intenso, amoroso e amorevole per il paese.

     

    Cosa unisce il deserto d Sde Boker, del kibbutz in cui si trasferiscono David e Paula Ben Gurion al deserto di Am Oz?

    Amos Oz continua a mancarmi. Andava a passeggiare tutte le mattine: voleva vedere cosa era cambiato perché diceva che il deserto sembrava immobile ma non lo era. Il deserto vive. Ben Guiron era andato a Sde Boker, nel deserto, per costruire ed essere costruito. ‘Il sud’, ripeteva ’il sud è il futuro del popolo d’Israele. Bisogna andare verso sud per costruire ed essere costruiti.’ Lì sta il nostro passato ma soprattutto il futuro.

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