Si dice che dove ci sono due ebrei, esistono almeno tre opinioni ed è con questo spirito che si apre “Degli ebrei e dell’ebraismo”, edito da Einaudi, una lettura che colma una lacuna soprattutto per i non ebrei. In un dialogo in cui si contrappongono il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni e lo storico Riccardo Calimani che dichiara di non avere nessuna fede, i due personaggi si confrontano su cosa significhi oggi essere ebreo.
Si parte già con la prima differenza, definire chi è ebreo. Per Rav Di Segni non ci sono dubbi: “è ebreo chi nasce da madre ebrea e chi si converte all’ebraismo”. Per Riccardo Calimani è una visione che va integrata: “è ebreo chi vuole essere ebreo ed essere ebrei ha un forte senso di rottura con le idolatrie. Credo che un padre ebreo, in accordo con la madre non ebrea, abbia il diritto di decidere che i suoi figli siano sin dalla nascita ebrei”. Replica Rav Di Segni: “Molte spiegazioni sono state date al fatto che si nasce ebrei da madre ebrea. Il sistema considera sia l’ascendenza paterna sia quella materna, ma la condizione paterna si trasmette ai figli solo se il rapporto tra padre e madre è consentito. Altrimenti la presenza paterna si attenua fino a scomparire”.
Si riprende la questione nel capitolo sui matrimoni misti. Riccardo Calimani è convinto che “un buon matrimonio misto tra un coniuge ebreo e uno non ebreo può inevitabilmente incontrare qualche difficoltà, ma l’amore può superare ogni barriera”. Per Calimani, c’è necessità di accogliere tutti in una visione che potremmo definire “moderna e aggiornata” dell’ebraismo. Ma Rav Di Segni la pensa in altro modo e porta l’esempio di Roma, la comunità più grande che da sola costituisce la metà degli ebrei italiani. “Oggi nascono a Roma circa 80 bambini ebrei all’anno e forse una ventina da coppie miste con madre non ebrea. Il numero dei decessi annuali è di circa 150. Fino agli anni Novanta, il numero dei nati superava le 200 unità. La contrazione numerica non dipende dalle mancate conversioni ma dal calo delle nascite”. Il problema è quindi demografico ma anche economico perché l’Italia, con un sistema burocratico ingessato, non attira ebrei provenienti da altri paesi come invece è successo in Germania dove oggi la comunità è costituita da 100mila persone contro le 23mila italiane.
Il libro tocca tutti i temi, dai termini ebreo, giudeo, israelita, israeliano, sionista, semita ai suoi contrari l’antisemitismo, l’antigiudaismo, l’antisionismo che, troppo spesso, maschera l’antisemitismo.
“Se un giornalista o un semplice curioso vuole sapere come stanno gli ebrei in un posto, la domanda di rito è se c’è antisemitismo. Perché non mi piace questa storia? Perché è l’espressione di un approccio distorto della realtà ebraica – spiega Rav Di Segni – non se ne considera la vitalità, la positività, il contributo, ma ci si addolora per le morti e le persecuzioni”. Qui Riccardo Calimani ricorda gli “stereotipi e i pregiudizi inossidabili” e il razzismo della cacciata dalla Spagna basato sulla “limpieza de sangre”, ben prima di quello nazista.
Non manca uno sguardo su quello che sono gli scritti fondamentali, Torà e Talmud, con i riferimenti storici e con le spiegazioni bibliche per tracciare anche la storia dei profeti ad iniziare da Abramo per arrivare a Mosè. Una parte notevole, soprattutto per chi non è ebreo, è la traduzione letterale dei dieci comandamenti. Si possono così tracciare le differenze fondamentali con quelli poi riscritti dal cristianesimo. Spicca il divieto alle sculture e alle immagini, ma soprattutto l’osservanza del Sabato e la cessazione del lavoro nel settimo giorno tradotto poi dalla Chiesa in un generico ricordati di santificare le feste. Altra differenza è non commettere adulterio, poi diventato nel cristianesimo non commettere atti impuri. Questione fondamentale per i non ebrei è anche il rispetto delle sette regole di Noè che si applicano a tutta l’umanità e che distinguono il confine tra un giusto e un empio. Rav Di Segni ce le ricorda: “rifiuto dell’idolatria, dell’omicidio, di gravi trasgressioni sessuali (adulterio e incesto), del furto, della bestemmia, di cibarsi di parte di carne tolte ad animali vivi, obbligo di costituzione di tribunali”. Quest’ultima ci porta a riflettere sulla modernità della Torà che stabiliva il principio di un giusto processo in un’epoca in cui non era affatto scontato.
Si passa poi a ciò che devono fare gli ebrei, come la circoncisione, il bat e il bar mitzwà, ovvero la maggiore età femminile (12 anni), maschile (13). E anche sulla circoncisione, Rav Di Segni spiega che è “un segno fisico del patto stipulato da Abramo con Dio. Da non confondere con la circoncisione femminile, praticata in alcune culture, che è del tutto assente, anche rigettata nell’ebraismo che la considera una mutilazione umiliante”. Viene poi la parte dedicata al rispetto del Sabato e delle festività, ma anche alle regole alimentari ebraiche, molto spesso prese a pretesto dagli animalisti che si scagliano contro la macellazione riturale. Qui il Rav denuncia “il pregiudizio, l’uso parziale e tendenzioso di fonti scientifiche. Non ha senso sbandierare ai quattro venti la volontà di combattere l’antisemitismo quando si impedisce agli ebrei di mangiare in ossequio alle loro regole basate sul rispetto dell’animale e sul desiderio di ridurne le sofferenze”.
Il libro continua attraverso il dialogo serrato in cui i due protagonisti molto spesso non vanno d’accordo. “Una delle prime osservazioni che potrà fare un lettore – scrive Rav Di Segni nelle conclusioni– è la diversità presente in campo ebraico. Potrà sembrare strano a qualcuno che sia un rabbino a mettersi a discutere di certe cose con chi ha su temi religiosi un approccio piuttosto differente”. Replica Riccardo Calimani: “Il risultato del nostro colloquio mi rallegra perché penso che possa costituire un esempio”. Insomma, viene in mente il famoso proverbio inglese “we agree to desagree”, siamo d’accordo di essere in disaccordo quasi l’essenza dell’ebraismo: accettare e rispettare la diversità dell’altro.