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    Da Villa Ambron a Casa Balla. Giacomo Balla e le artiste ebree del Novecento

    Quando si pensa al panorama artistico del Novecento, non si può non far riferimento a una delle figure più conosciute del periodo, Giacomo Balla, nato a Torino nel 1871, di adozione romana dalla fine del secolo fino alla morte nel 1958. Balla è conosciuto internazionalmente per essere stato uno dei protagonisti del Futurismo, movimento avanguardista di inizio Novecento, occupandosi di pittura, cinema, teatro, moda, e promuovendo come gli altri personaggi del gruppo la commistione delle arti che lo condurrà verso una visione dell’arte totale.

    La mostra al MAXXI di Roma appena inaugurata, dal titolo Casa Balla. Dalla casa all’universo e ritorno, da spazio proprio a questo aspetto della poetica di Balla, mettendo in mostra arazzi, disegni, bozzetti e arredi, da cui si evince la visione geniale e avveniristica di un artista che tutt’oggi è di ispirazione per molta arte e design contemporanei.

    Ma la vera esperienza immersiva nella creatività a tutto tondo dell’artista si può avere visitando Casa Balla che aprirà al pubblico dal 25 giugno e solo per qualche mese. Nell’appartamento di via Oslavia a Roma, nel quale il pittore visse per quasi trent’anni dal 1929 fino alla morte, forme e colori saturano lo spazio tanto da rendere impossibile capire dove finisce un dipinto e comincia una parete, una porta, un soffitto, perché tutto è opera d’arte rendendo questo luogo unico nel suo genere in un modernissimo dialogo tra arte e vita.

    La visita alla casa, composta dalla camera di Giacomo Balla e delle figlie Elica e Luce che qui vissero fino agli anni Novanta, dallo studiolo del pittore, dalla cucina e il bagno, tutto rigorosamente in stile “FuturBalla”, comincia con l’ingresso nella sala centrale dove l’artista dipingeva, ed è qui che ad accogliere il visitatore si trova un ritratto dell’artista, poggiato su un cavalletto, eseguito da Amelia Ambron. Già perché Balla prima di diventare il futurista che tutti conosciamo, aveva abbracciato la tecnica del divisionismo distinguendosi all’interno dello scenario borghese romano come tra i più validi ritrattisti dell’epoca, e come tale si fece mentore di alcune pittrici di origine ebraica attive a Roma agli inizi del XX secolo, specializzate appunto nel genere della ritrattistica. Da Corinna Modigliani (Roma 1871-1959) ad Annie Nathan (Roma 1878-Zurigo 1946), intorno alla figura di Balla hanno ruotano una serie di artisti e – non meno rilevante – di collezionisti ebrei, che hanno dato vita ad un ambiente capitolino cosmopolita, all’interno del quale si inserì appunto anche il nuovo ceto ebraico durante gli anni dell’emancipazione. 

    Tra le famiglie ebraiche legate a Balla non solo professionalmente ma anche da una grande amicizia, si annotano i Levi della Vida, i Nathan, i Kahn Speyer e appunto gli Ambron presso i quali l’artista fu ospite diverse volte nella loro villa nella campagna senese, accogliendolo anche nella loro abitazione romana (Villa Ambron detta “la moresca”) quando Balla fu costretto a lasciare la sua casa ai Parioli in via Porpora, prima di risiedere nell’abitazione di via Oslavia. Lo stretto legame tra le due famiglie, come testimoniano le numerose cartoline e lettere inviate dalla famiglia Balla agli Ambron, comincia proprio con Amelia Almagià Ambron (Ancona 1877- Roma 1960), proseguendo poi con i figli Emilio, anche lui allievo di Balla, Nora e Gilda. Di questa amicizia fraterna oggi ci rimangono anche splendidi ritratti che i due si fecero reciprocamente. Il ritratto di Amelia Ambron realizzato da Balla nel 1925, e appunto il disegno conservato in casa Balla datato 1922. Amelia Ambron, così come le altre artiste sopra citate, ha rivestito un doppio ruolo discriminante per l’epoca, quello di donna e di ebrea, riuscendo però, anche grazie alla frequentazione di persone progressiste e innovatrici come fu Giacomo Balla, a vivere la sua condizione di minorità sociale trasformandola in un’opportunità che le permise di raggiungere l’affermazione e l’indipendenza creativa.


    Di Giorgia Liora Calò, storica e critica d’arte

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