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    “Il canto del fuoco” tra i più bei libri del 2022 secondo Vanity Fair. L’intervista all’autore Matti Friedman

    Vanity Fair ha annoverato “Il canto del fuoco” di Matti Friedman, edito da Giuntina, tra i più bei libri del 2022. La figura di un grande artista come Leonard Cohen, infatti, è stata raccontata in modo esemplare, dando voce alla sua complessità, alle sue opere e al suo attaccamento all’ebraismo.

    Il viaggio compiuto da Friedman inizia con un vecchio diario e con alcune lettere dello stesso Cohen ritrovate in un archivio canadese. Così prende vita un percorso di “risurrezione” dell’artista stesso, in cui racconta il periodo passato in Israele durante la Guerra del Kippur. 

    Siamo nel 1973 e Cohen vive un profondo periodo di crisi interiore, durante il quale decide di partire alla volta di Israele per sostenere i soldati impegnati nella difesa dello Stato ebraico.

    Friedman ricostruisce lucidamente le tappe e i personaggi del famoso tour del Sinai, in un testo in grado di dar voce all’artista, ma al contempo di narrare con toni giornalistici la cronaca di quelli che furono gli anni, gli avvenimenti e le sensazioni della Guerra del Kippur. 

    Corredato da foto inedite, “Il canto del fuoco” è il racconto sul potere della musica di segnare il testamento spirituale di Cohen, come raccontato a Shalom dallo stesso autore a giugno, quando è giunto nella Capitale in occasione di Ebraica – Festival Internazionale di cultura. 

     

    Com’è stato ricostruire la storia di Leonard Cohen?

    Tutto è iniziato nel 2009, quando Cohen venne in Israele per un concerto. Era già piuttosto avanti con l’età e forse non aveva ancora capito quanto fosse famoso. Chiaramente il concerto fu un successo, probabilmente quel periodo è stato la vera risurrezione di Leonard Cohen. Quando è arrivato a Tel Aviv gli israeliani impazzirono per lui. Più di 5000 spettatori riempirono lo stadio per ascoltare il suo concerto, il che per Israele è davvero tanto. Io sono canadese, sono cresciuto con le sue canzoni, ma lì ho capito che era un idolo anche per gli israeliani. Poi ho scoperto anche di un altro tour, che fece nel 1973 nel Sinai per i soldati, ma non se ne era parlato abbastanza. Ho dunque cominciato a fare delle ricerche e ho trovato alcuni dei soldati che lo avevano conosciuto durante quel tour. Volevo intervistarlo, ma purtroppo è venuto a mancare prima che potessimo incontrarci. Non mi sono dato per vinto e ho continuato le ricerche, trovando un manoscritto di Cohen in una piccola città vicino Toronto. Mi è sembrato quasi che mi stesse parlando, ho chiesto il consenso alla famiglia per la pubblicazione e così, grazie a molte altre ricerche, è nato questo libro. Mi piace pensare che gli sarebbe piaciuto.

     

    Inizialmente l’intento era solo di raccontare il grande artista che fu Cohen o c’era altro?

    Direi che tutto è nato da qualcosa di molto “egoista”, fondamentalmente volevo spiegare qualcosa a me stesso. Tutto il resto è venuto di conseguenza. Dare voce a quel tour che Leonard Cohen fece durante la guerra del Kippur rappresentava la narrazione di uno spaccato di Israele. Il suo incontro con i soldati fu un grande momento di unione: Cohen non parlava ebraico, molti soldati non capivano l’inglese, eppure, c’era qualcosa di straordinario che accomunava tutti. Tutto questo mi è sembrato magico, una storia ebraica che meritava di essere raccontata per capire come le esperienze riescano a tramutarsi in arte. Ad esempio, pensiamo a quando abbiamo la possibilità di ammirare Guernica di Picasso, proviamo le stesse sensazioni che provò il pittore a dipingere e che provarono gli spagnoli durante la guerra. Io ho immaginato che fosse lo stesso per i soldati nel ’73. Leonard Cohen scrisse una canzone in Israele durante la guerra e quella canzone ci accompagna anche oggi. Molti non capiscono la connessione tra la guerra del Kippur e Cohen ed è proprio attraverso questo libro che volevo spiegarla a tutti.

     

    Nel libro come si conciliano la figura di Cohen con il suo viaggio in Israele nel ’73 e lo scenario storico-politico di quegli anni?

    Questo è esattamente ciò che ho cercato di fare. Volevo produrre qualcosa che interessasse sia a coloro che amano Cohen ma anche a coloro che volevano comprendere qualcosa in più della guerra del Kippur. Vediamo lo stesso Cohen in un’altra veste: non è in America, non è in un club. Ma è accanto ai soldati che stanno difendendo lo stato d’Israele. Ed è proprio attraverso Leonard Cohen che noi possiamo vedere la guerra e i suoi personaggi. L’intento primario era descrivere la guerra, ma dal punto di vista “umano”, con la fragilità dei soldati, ammaliati dalla grandezza della musica.

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