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    Israele: “Non ci sono negoziati all’orizzonte. Ma esistono opportunità da cogliere” – Intervista a alla Vice Ministra degli Esteri Marina Sereni

    «Volevo capire il più possibile, per questo ho incontrato molte persone sia da parte israeliana che palestinese. La situazione è molto complessa, nuova, e per molti aspetti difficilissima». A parlare è la Vice Ministra degli Esteri e della Cooperazione Internazionale Marina Sereni, rientrata da una visita in Israele e nei territori palestinesi. Sereni ha incontrato molti esponenti della politica, del neo governo israeliano Mansour Abbas, leader del partito arabo-israeliano Raam, Ram Ben-Barak, Presidente della Commissione Esteri e Difesa, il Ministro della Giustizia e Vice Primo Ministro Gideon Saar, da parte palestinese tra gli altri la Vice Ministra degli Esteri Amal Jadou. «Al momento non ci sono le condizioni per riaprire un negoziato, ma c’è la consapevolezza da entrambe le parti che ci sono opportunità, e non si può restare fermi» e l’Italia nell’area può avere un ruolo, secondo la Vice Ministra. Shalom l’ha intervistata.

     

    Lei ha incontrato alcune autorità del nuovo governo israeliano. Che ruolo può avere l’Italia dopo il conflitto con Hamas e in questa nuova fase politica in Israele?

     

    Come ha detto un analista israeliano, questo governo è un governo delle “molte prime volte”. E’ la prima volta di un governo che vede la destra e la sinistra insieme, un partito arabo a sostegno della maggioranza, senza Netanyahu dopo 12 anni. Ha una maggioranza eterogenea, non amplissima nei numeri, e questo mi porta a dire, e lo confermano gli incontri che ho avuto, che nell’immediato non è nei programmi del governo Bennett-Lapid di riaprire un negoziato con i palestinesi, non ce ne sono le condizioni. Al momento non fa parte del programma di governo, non è tra le priorità. Ma c’è la consapevolezza da parte israeliana di non poter restare fermi, soprattutto dopo l’esplosione di violenza e lo scontro con Hamas. Questo è il quadro, c’è comunque la disponibilità di fare passi avanti, è per questo che ho sottolineato con molti interlocutori la necessità di trovare misure di confidenza, fiducia, reciproca, che possano mandare un segnale chiaro alla popolazione palestinese, far recuperare credibilità all’Autorità Nazionale Palestinese, sicuramente indebolita dopo il conflitto di maggio, consolidare il “cessate il fuoco”, che è molto fragile, e che preparino la strada ad un rilancio del negoziato. Noi vogliamo costruire dei progetti trilaterali, in vari campi, anche sul terreno dell’innovazione, che coinvolgano l’Italia, e poi c’è l’iniziativa Italo-spagnola sullo sfondo, lanciata dal Ministro di Maio, apprezzata sia da parte israeliana che palestinese. E’ in preparazione una visita nell’area del Ministro Di Maio e del suo omologo spagnolo: sul piano politico vogliamo rilanciare il ruolo dell’Europa, e rimettere in moto il Quartetto.

     

    Negli incontri con i palestinesi, ha trovato volontà di intraprendere colloqui di pace?

     

    Ho incontrato varie voci, interne a Al-Fatah, all’OLP, e all’Autorità Nazionale Palestinese, ma anche persone della società civile (alcune critiche nei confronti dell’ANP). Mi pare che anche a loro sia chiaro il contesto in cui si stanno muovendo nel rapporto con il governo israeliano. Le stesse informazioni che avevo ricavato da parte israeliana, le ho trovate nelle agende palestinesi, in particolar modo la disponibilità del Ministro israeliano della Cooperazione Regionale Esawi Frej che ha manifestato la volontà di costruire un ponte tra i diversi ministeri israeliani e palestinesi. C’è consapevolezza da parte palestinese che al momento non è possibile sedersi insieme per un negoziato generale. Ma loro colgono questa opportunità, e hanno presentato le loro priorità, alcune questioni che ritengono sia urgente affrontare, pur non nel quadro di negoziato. C’è stata un’attenzione molto forte nel sottolineare che il consolidamento del “cessate il fuoco” non deve riguardare solo Gaza, ma il tema della distensione del clima deve riguardare anche Gerusalemme e Cisgiordania.

     

    Il terrorismo è la piaga contro la quale combatte Israele. L’organizzazione terroristica Hamas, che ha attaccato Israele nell’ultimo conflitto, è in realtà un problema anche per i palestinesi.

     

    Sul tema sicurezza e terrorismo, ho detto a tutti gli interlocutori sia israeliani che palestinesi, che l’Italia, come l’Europa, è molto interessata al Medio Oriente perché sentiamo che fa parte della nostra regione strategica, e i problemi di stabilità, sicurezza e terrorismo che attraversano il Mediterraneo ci riguardano da vicino. Siamo molto attenti alla lotta al terrorismo e alla necessità di non far accadere nuovi fattori di escalation in un’area che è già particolarmente carica di tensioni e di conflitti. Penso che questo possa essere un impegno comune. Non c’è dubbio che anche i palestinesi e l’Autorità Nazionale Palestinese siano danneggiati da frange estremiste che non accettano l’esistenza dello Stato d’Israele e che considerano la violenza uno strumento attuabile. Alla vigilia di un percorso di ricostruzione di Gaza, è necessario un cambiamento anche nel campo palestinese per rinvigorire la parte più moderata e trovare una modalità per interloquire. Questo è uno dei temi sull’agenda palestinesi.

     

    Come possono contribuire l’Italia e l’Unione Europea nella lotta al terrorismo?

     

    La Comunità internazionale deve ricostruire Gaza, dove c’è un tema umanitario, non vogliamo dare i soldi nelle mani di Hamas. Dobbiamo far entrare gli aiuti, e prospettare una ricostruzione che non sia nuovamente al rischio di una nuova fase di escalation. Il tema di non trattare con Hamas ci è molto chiaro, noi non trattiamo con Hamas. Ma al tempo stesso tutta la Comunità internazionale ha bisogno di avere un’interlocuzione con un’entità palestinese che sia in grado di lavorare alla ricostruzione. E’ uno dei nodi che va risolto in questa vicenda, e credo sia nell’interesse di tutti. Sullo sfondo resta il tema delle elezioni palestinesi, la decisione dell’Autorità palestinese di rinviare il voto è ancora più complicata dopo il conflitto di maggio e l’attacco di Hamas, però è chiaro che quella decisione ha allontanato ancor di più l’opinione pubblica dall’Autorità Palestinese. Noi abbiamo dato la nostra disponibilità a favorire un dialogo per l’organizzazione di questo evento, ma non c’è una scadenza immediata.

     

    Quali sono i progetti messi in campo con Israele durante la sua visita? Sul fronte dell’innovazione?

     

    Ho visitato Peres Center for Peace and Innovation, con cui dobbiamo implementare un rapporto, e che può rappresentare un tassello importante per la ricostruzione di fiducia tra le parti. Poi ho incontrato Yossi Vardi, uno dei padri della “Start-up Nation”, che si sta impegnando nel disseminare esperienze di innovazione nei territori palestinesi in Cisgiordania, e nel costruire triangolazioni con imprese europee ed israeliane. E’ un filone da sviluppare molto interessante.

     

    Ha visitato il Memoriale dello Yad Vashem. In Israele la memoria della Shoah è molto radicata. In Italia le comunità ebraiche concentrato molte attività nella conservazione della memoria. Che cosa l’ha colpita di più del Memoriale?

     

    Ero già stata a visitare il Memoriale dello Yed Vashem, e come mi colpì allora, anche stavolta mi ha colpito la stanza dedicata ai bambini. Ho avuto modo di visitare parte degli archivi, che non è aperta il pubblico, ed apprezzare il grande lavoro di documentazione anche rispetto alle storie di italiani sopravvissuti o morti nella Shoah. Il nostro paese ha molti rapporti con il Memoriale, e nonostante il Covid ci sono state iniziative condivise.

     

    Si è recata in visita presso la comunità degli ebrei italiani di Gerusalemme. Che impressione le ha fatto? Come vivono il loro legame con l’Italia?

     

    Hanno un legame profondo con l’Italia, ho visitato il loro museo, la sinagoga, e ho scoperto che ci sono dei pezzi di artigianato bellissimi provenienti dalle sinagoghe e dai ghetti di città in cui l’ebraismo è quasi scomparso, e che sono disseminati in Israele, uno è anche alla Knesset. C’è un forte attaccamento al paese di origine da parte della comunità italiana in Israele, e c’è anche la volontà di coltivare questa tradizione e la cultura.

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