
Tristezza e terrore sono solo alcune delle sensazioni che accompagnano la tragica testimonianza di Ilana Gritzewsky, un’israeliana ex ostaggio nelle mani di Hamas. In un’intervista esclusiva rilasciata al New York Times, Ilana racconta le sofferenze che hanno caratterizzato il suo rapimento, durato oltre un mese, tra violenze fisiche e abusi psicologici. Trascorsa a Gaza, la sua prigionia si è conclusa il 30 novembre 2023, ma le cicatrici lasciate da quell’esperienza sono destinate a durare nel tempo, rendendo difficile il sentirsi veramente libera.
Quando il 7 ottobre i miliziani di Hamas hanno fatto irruzione nel kibbutz Nir Oz, dove un quarto dei residenti è stato ucciso o rapito, sono passati di casa in casa fino ad arrivare all’abitazione di Gritzewsky. Insieme al fidanzato Matan Tsangauker – ancora prigioniero di Hamas – è saltata fuori dalla finestra della stanza di sicurezza ed è corsa in direzione opposta rispetto a quella del ragazzo, perdendolo definitivamente di vista.
Una volta catturata, è stata costretta a salire su di una motocicletta, dove uno dei terroristi “le ha premuto la gamba contro il tubo di scarico, provocandole un’ustione”, mentre l’altro, seduto dietro di lei, “l’ha palpeggiata, toccandole il seno sotto la maglietta e le gambe”. Ilana afferma di essere svenuta durante il viaggio e di essersi risvegliata più tardi in un edificio a Gaza con sette uomini armati sopra di lei, “mezza nuda, terrorizzata e vulnerabile”. Nonostante il momento di incoscienza, la ragazza ricorda di aver detto ai militanti di avere il ciclo mestruale, una rivelazione che potrebbe averla salvata da una situazione ben più grave. “Ho pensato che fossero delusi”, ha raccontato, aggiungendo di “non essere mai stata così grata per il mio ciclo”.
Per più di 50 giorni, Gritzewsky è stata spostata da un posto all’altro, principalmente in superficie tra case private ed ospedali. Ha ricordato di essere stata interrogata sul suo servizio militare, conclusosi più di un decennio prima della sua cattura, e che “uno dei suoi rapitori l’ha abbracciata e le ha detto, puntandole la pistola contro, che anche se ci fosse stato un accordo, non sarebbe stata rilasciata perché lui voleva sposarla e avere figli da lei”. Un altro sosteneva di essere un insegnante di matematica, mentre un terzo ha detto di essere un avvocato. I terroristi, oltre ad averle rubato gli orecchini e il braccialetto, le hanno impedito di assumere dei farmaci per la sua malattia digestiva cronica.
Tuttavia, la liberazione di Ilana non le ha restituito la pace e la quiete che un tempo conosceva. “La vita senza Matan è una lotta continua”, dice, e le sue parole rivelano il dolore che la accompagna ogni giorno, in ogni momento. “Non sono realmente disponibile per la mia riabilitazione, né fisica né mentale”. Ogni giorno vive con la domanda “Perché io e non loro?”, senza risposta. Eppure, in mezzo alla sofferenza, trova un motivo per andare avanti: “Se sono fuori, è un segno che D-o ha voluto che alzassi la voce per aiutare chi è vivo a ottenere la loro libertà e riportare in vita i morti per una degna sepoltura”. Il suo dolore diventa così un impegno, un richiamo per chi non può più lottare.