
La guerra continua
Anche se al momento non si combattono grandi battaglie, Israele si trova sempre in guerra, con pericoli gravi provenienti da tutte le direzioni. Le trattative per prolungare la tregua sono fallite (parola di Hamas) e il momento della ripresa della guerra a Gaza sembra sempre più vicino; gli Houti ricominciano a cercare di bombardare Israele dallo Yemen; il caos infuria fra Siria e Libano; l’Iran corre verso l’armamento atomico; in Giudea e Samaria i terroristi cercando di riorganizzarsi e sono necessarie continue operazioni militari per evitare che si impadroniscano del territorio.
Una crisi politica paradossale
Ma la politica israeliana non riesce a tenere l’unità nazionale necessaria per la guerra e rischia seriamente di piombare in una nuova crisi paragonabile a quella provocata nell’anno precedente al 7 ottobre dall’opposizione violenta e senza compromessi alla riforma giudiziaria: una spaccatura verticale della società così profonda da paralizzare l’istinto di sopravvivenza. L’occasione dello scontro è molto paradossale: l’opposizione politica e sociale si sta mobilitando con manifestazioni di piazza, ricorsi alla corte suprema, scioperi dei rettori delle università, scuole chiuse dai presidi per favorire le manifestazioni, per impedire al governo di licenziare Ronen Bar, il direttore del servizio segreto interno, lo Shin Bet (o Shabak come vocalizzano la sigla gli israeliani). Bisogna dire che lo Shin Bet è del tutto diverso dal Mossad che ha invece competenza sulle operazioni all’estero e che non ha responsabilità per il 7 ottobre, ma anzi è stato fondamentale in questa guerra, eliminando i quadri di Hezbollah e Hamas con i cercapersone esplosivi o direttamente.
Il fallimento e le dimissioni
Il paradosso sta nel fatto che non solo la legge che regola il servizio preveda esplicitamente la possibilità che il governo sfiduci il suo capo, ma che lo stesso Shabak in un’inchiesta interna resa pubblica nei giorni scorsi, ha ammesso il suo gravissimo fallimento fra le cause immediate dell’incapacità di Israele di prevedere l’attacco terrorista del 7 ottobre e di difendersene subito, ma che lo stesso Bar ha annunciato l’intenzione di dare le dimissioni per questa sua pesantissima responsabilità. Sennonché poi ha posto pubbliche condizioni a queste sue dimissioni. Per andarsene Bar vuole scegliere lui stesso il suo successore (cosa che nessun funzionario pubblico al mondo ha mai potuto fare, figuriamoci il responsabile fallito di un servizio segreto), Vuole inoltre che per accertare le responsabilità del 7 ottobre, oltre all’inchiesta del controllore pubblico, che in Israele è una figura importante e rispettata, a quella della sua commissione e a quelle di altri corpi militari, che nelle ultime settimane hanno portato alle dimissioni di ufficiali molto meno responsabili di lui, dal capo di stato maggiore delle forze armate al capo della sua divisione meridionale, a quello dei servizi militari fino al portavoce dell’esercito, ci sia un’indagine complessiva (che naturalmente contestualizzerebbe la sua responsabilità fra i tanti errori che hanno reso possibile l’attacco terrorista). È ovviamente una richiesta giusta, anche se non si vede perché si permetta di farlo uno dei principali responsabili del disastro.
L’attacco al governo
Bar pretende però che si nomini non una commissione parlamentare come propone il governo, neutrale perché costituita con membri scelti da maggioranza e opposizione, ma una “commissione di Stato” una formula di inchiesta usata qualche volta in passato, i cui membri sono tradizionalmente scelti dal presidente della Corte Suprema. Ora si dà il caso che questo presidente, Isaac Amit, sia stato appena nominato con un colpo di mano contro il parere del governo, che lo riteneva improponibile in quanto portatore di un conflitto di interessi e di comportamenti scorretti, tanto che Netanyahu e il ministro della Giustizia Levin hanno rifiutato di partecipare alla cerimonia della sua presa di servizio. Volerlo rendere arbitro di una commissione di inchiesta significa invitarlo a vendicarsi, cioè cercare di scaricare tutte le responsabilità sul governo. Del resto un intero paragrafo della relazione preparata da Bar sulle responsabilità del suo istituto non riguardava l’indagine di quel che era successo nei giorni e nelle ore precedenti all’attacco terrorista. Esso cercava di attribuire le responsabilità del disastro non ai fallimenti informativi, all’impreparazione dell’esercito, alla lentezza delle reazioni militari, alla censura sugli indizi dell’operazione terroristica denunciati invano anche da molti dipendenti di Bar, ma di scaricarli sulle politiche generali da lungo tempo attuate da Israele (e condivise dal governo attuale ma anche da quello precedente gestito dall’attuale opposizione, oltre che dai servizi di informazione e dalle forze armate) che certamente avevano sottovalutato il pericolo di Hamas ed erano cadute nella finzione buonista dei terroristi.
Le reazioni di Bar
Insomma, il capo dei servizi segreti competenti per il territorio di Israele e per Gaza, quando la guerra era ancora aperta, sembrava dedicarsi più che al tentativo di individuare i rapiti e di eliminare i terroristi, alla caccia ai suoi nemici interni ad Israele, in sostanza il governo e Netanyahu. Bisogna aggiungere una serie di soffiate provenienti dallo Shabak per esempio sulle trattative con i mediatori, che in diverse occasioni hanno messo in difficoltà il governo. O altre che nelle ultime settimane, quando Bar era già in odor di licenziamento, insinuavano alla stampa che lo Shabak stesse indagando su innominati “collaboratori del primo ministro”, bizzarramente sospettati di aver ricevuto doni addirittura dal Qatar. Quando Bar era rimasto l’unico dei responsabili prossimi del fallimento del 7 ottobre in servizio, Netanyahu gli ha chiesto formalmente di dimettersi, di fronte al suo rifiuto (di nuovo reso pubblico con un attacco politico al governo), ha annunciato di aver iniziato la procedure per licenziarlo, che dovrebbe concludersi con un voto del gabinetto, mercoledì.
Il fronte contro il governo
A questo punto è partito uno strano coro di soccorsi a Bar. Si è fatto intervistare in TV il suo predecessore Nadav Argaman minacciando di “ rivelare tutto quel che sa e che finora ha tenuto per sé” sui rapporti con Netanyahu; un avvertimento che lo stesso Netanyahu ha qualificato come “mafioso” arrivando a denunciare Argaman alla polizia. Ha parlato naturalmente anche il capo dell’opposizione Lapid, che nell’ultimo anno e mezzo ha rifiutato costantemente la politica di unità nazionale che è nella tradizione di Israele durante la guerra. Si è pronunciata anche con una lettera formale il procuratore generale e consulente legale del governo Gali Baharav-Miara, cercando di proibire a Netanyahu di procedere al licenziamento. Ma anche lei si trova in conflitto di interessi, non solo perché a sua volta soggetta a una procedura di impeachment parlamentare essendo in conflitto costante ed esplicito con la linea politica del governo, ma anche per il fatto di essere, lei e soprattutto suo marito, stretti amici di Bar. E mercoledì in tutto Israele vi saranno manifestazioni organizzate secondo il modello e l’ideologia delle agitazioni contro la riforma della giustizia, compreso un assedio programmato alla sede del governo e alla residenza di Natanyahu, in concomitanza con la votazione del governo su Bar.