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    ROMA EBRAICA

    Ecco come nasce la recita delle quarte

    Giovanissima, appena diplomata, fui accompagnata da mia madre alla Scuola Polacco per “prendere confidenza con l’ambiente”. Erano i primi anni Sessanta, la scuola era nella “nuova sede” di Lungotevere Sanzio; mi pare che mia madre conoscesse la direttrice, l’anziana austera signora Ravenna, e qualche insegnante veterana: Emma Dell’Ariccia, Franca Nacamulli, Elisa Ascarelli. Io ero poco più di una bambina; non avevo ancora diciassette anni. La scuola mi sembrò subito bellissima: spazi grandi, aperti, terrazze su tutti i piani, un ambiente desueto rispetto alle scuole che avevo frequentato. Entrai per fare “tirocinio” all’inizio dell’anno scolastico, più incuriosita che intimidita. Respirai subito un’aria familiare; l’ambiente ebraico che frequentavo pochissimo e mi attraeva poiché ero in piena ricerca della mia identità si respirava in maniera inequivocabile; tutti si conoscevano ed erano imparentati, le custodi venivano chiamate dai bambini “zie”, la maestra “morà”; prima di iniziare la lezione i bambini recitavano lo Shemà con naturalezza e devozione. Non avevo mai frequentato altro che scuole comunali dove, durante la preghiera del mattino, mi riconoscevo solamente nell’amen finale che, sebbene pronunciato con un accento diverso, era l’unica parola che corrispondeva alle preghiere che sentivo al Tempio durante le feste. Sentire lo Shemà, che tutte le sere con mamma ripetevo nel mio letto, mi provocò subito una gioiosa sensazione di appartenenza. Ho imparato tanto nella mia carriera di insegnante alla Scuola Polacco: ho conquistato la mia agognata identità ebraica, completata con la frequenza assidua al Seminario Almagià, ho cominciato a capire un po’ del giudaico romanesco e, come tutti gli insegnanti, ho imparato tantissimo dai numerosi alunni ai quali ho cercato di insegnare in quaranta anni di servizio.

    Ma la cosa più rilevante che ricordo è la storica irrinunciabile recita di Purim. Tutti gli anni, immancabilmente, la morà Enrica Dell’Ariccia e il morè Eliseo cominciavano a confabulare già dal mese di dicembre per scegliere l’argomento da prendere come spunto per far recitare i ragazzi delle quinte che raccontavano la storia della regina Ester, attualizzata e messa in scena imitando gli spettacoli del momento: una serie televisiva, un film per ragazzi, che servivano per trasformare in personaggi attuali, gli eroi protagonisti della nostra storia. La recita comprendeva sempre canti e cori con le musiche conosciute a cui venivano sostituite le parole e, il giorno di Purim, dopo aver adibito il salone con scenari costruiti dalle morot e dai ragazzi, scelti e creati sfondi e costumi, si andava in scena con grandissima emozione non solo dei protagonisti e degli insegnanti ma anche di genitori, zii, nonni e conoscenti che si assiepavano nel salone battendo le mani, commuovendosi e complimentandosi. Era sempre presente il Rabbino Capo che, oltre ad apprezzare quanto la recita servisse per approfondire e assimilare valori e messaggi della storia ebraica, mostrava di divertirsi anche lui. Il giorno successivo, Purim Shushan era la giornata di riposo più agognata dalle morot impegnate nella recita e sicuramente la più meritata dopo tanta fatica. Negli anni, quando per un breve periodo mi fu dato l’incarico di coordinatrice didattica, stabilimmo che la recita venisse fatta dalle classi quarte (tutte insieme) poiché la preparazione portava via molto tempo e le quinte classi dovevano affrontare l’esame finale del ciclo elementare. La cosa più difficile era sempre riuscire a coinvolgere tutti i bambini dando a tutti la sensazione di essere protagonisti, cosa non facile perché spesso le quarte comprendevano un totale di più di cento bambini. Quindi trovammo l’escamotage di far ricoprire lo stesso personaggio in scene diverse a bambini diversi delle varie classi in modo che ci fossero almeno quattro regine Vashtì, quattro Ester, quattro Mordechai e così via. Le altre classi poi non si esimevano certo dal fare la loro parte con una recita di classe ed assistevano alla recita ufficiale. I più piccoli con ammirazione per i compagni “grandi”, le quinte col rimpianto dell’anno precedente in cui erano state protagoniste, le terze con la certezza che l’anno prossimo sarebbe toccato a loro. Una tradizione che si è consolidata nel tempo e che resta tutt’ora punto cardine del percorso scolastico della Vittorio Polacco.

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