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È stato un grande onore trasportare le bare di una giovane donna di 32 anni, i suoi bambini di 5 e due anni e un anziano signore di 86 anni. Sono voluti essere presenti tutti: quattro rappresentanti del male assoluto, uno con la fascia verde di Hamas, uno con quella rossa del FPLP, uno con la fascia nera della Jihad Islamica, uno con la fascia gialla delle Brigate dei Martiri di al Aqsa, braccio armato di Fatah. Eretti e con orgoglio, quasi tutti mascherati trasportano le loro prede di una guerra che hanno combattuto strenuamente stuprando, depredando, bruciando, minacciando armati di Rpg, missili anticarro, mitra, mitraglie ed esplosivi per sconfiggere un esercito di famiglie ignare che dormivano alle 6 e ventinove del mattino di festa, per incenerire le loro case, i loro ricordi, il loro passato, fino all’ultimo spasimo.
Il 7 ottobre 2023, Shiri e Yarden Bibas e i loro bambini, Ariel di 4 anni e Kfir di 9 mesi, sono stati rapiti dalla loro casa nel kibbutz Nir Oz e portati nella Striscia di Gaza. Kfir Bibas è stato l’ostaggio più giovane rapito durante il massacro. L’intera famiglia è stata separata durante la prigionia e per molti mesi non si è saputo nulla del loro destino. La storia della famiglia Bibas è diventata uno dei simboli più dolorosi degli eventi tragici di quel giorno.
Viviamo questa altalena di emozioni che ci stravolgono le notti, i pensieri, la vita di ogni giorno: ci svegliamo con le storie di nuovi soldati caduti, con le voci delle madri che piangono i figlie e delle figlie e i loro corpi smembrati nei campi di Reim, quelli che non sono sopravvissuti al Nova Festival. Nei sogni delle notti corriamo nei tunnel, cerchiamo di sfuggire a un’orda infernale di uomini armati che ci assalgono, che ci costringono con la forza a soddisfare il loro volere. I volti dei rapiti, dei sopravvissuti, di coloro che non ci sono più sono in ogni angolo di Israele, sui muri, nei supermercati perfino dal parrucchiere come a gridare: “È tutto vero! Guardateci, non ci dimenticate, perlomeno voi…come ha fatto il resto del mondo!”.
Shiri cara, anima pura, non riusciremo più a cancellare dalle menti e dai cuori il tuo sguardo terrorizzato mentre stringi i tuoi bambini al seno. Avrai potuto continuare ad allattare il piccolo Kfir? Quante ninne nanne hai cantato per far sì che non piangessero, che non disturbassero, che non svegliassero la tigre affamata di sangue ebraico? Quanti pezzetti di pane di sei tolta dalla bocca per sfamare Ariel? A cosa pensavi mentre eri al buio dei tunnel dell’orco malvagio? Quegli esseri inumani e spietati hanno massacrato i tuoi bambini davanti ai tuoi occhi? Hanno profanato il tuo corpo come hanno fatto con le centinaia di ragazze e ragazzi del tuo kibbutz, di coloro che danzavano per la pace, di quegli innocenti ma colpevoli? Si, erano colpevoli solo di essere ebrei che vivevano in una terra che è stata loro assegnata, una terra comprata e coltivata col sudore della fronte, che avrebbe dovuto e potuto essere condivisa ma che gli aguzzini hanno sempre rifiutato di accettare.
Cara Shiri, sei la figlia di noi tutti e i tuoi figli sono i nipotini amati di tutto il popolo d’Israele insieme alle soldatesse e alle ragazze violentate e fatte a pezzi. Siete tutte nostre figlie. Qualcosa se n’è andato con voi come nel canto di Hava Alberstein:
Quando morirò, qualcosa di me
Morirà in te
Quando morirai, qualcosa di te in me
Morirà con te,
Perché tutti noi,
Siamo un unico tessuto umano vivente
E se uno di noi
Se ne va da noi
Qualcosa muore in noi
E qualcosa, rimane con lui
Se sapremo, come calmare
L’odio, la nostra rabbia
Se sapremo ricominciare
Da capo
Ogni donna al mondo dovrebbe avere come principio fondamentale la lotta contro la violenza al di là della nazionalità, della cultura o del contesto politico: ogni donna che subisce violenza, fisica o psicologica, dovrebbe essere ascoltata e sostenuta.
Chi ha scelto di ignorare o rifiutare di parlare di queste atrocità, che non ha espresso la sua solidarietà e il rispetto per tutte le vittime deve cercare nei meandri della sua psiche i punti di buio. La violenza sessuale e la sofferenza delle donne sono sempre inaccettabili e minimizzare o ignorare la sofferenza delle vittime in nome di questioni politiche o ideologiche non giova a nessuna causa. Le femministe che fra un po’ sventoleranno mimose e drappi rosa dovrebbero unire le forze per condannare tutte le forme di violenza contro le donne, senza fare distinzioni tra le vittime, perché la lotta contro la violenza di genere è universale. Le parole possono essere potenti, ma i fatti lo sono ancora di più. Lottare per i diritti delle donne significa proteggere tutte le donne, in ogni angolo del mondo perché:
Tutti noi,
Siamo un unico tessuto umano vivente
E se uno di noi
Se ne va da noi
Qualcosa muore in noi
Omer Adam canta questa canzone con i genitori dei ragazzi e delle ragazze uccisi nel Festival Nova