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La prima mishnà nel trattato di Rosh ha-shanà riporta una discussione fra la scuola di Shammay e la scuola di Hillel circa la data del capodanno per i frutti dell’albero. Come è noto, la regola finale segue l’opinione della scuola di Hillel, che fissa questo capodanno il 15 di Shevat. Quali sono le implicazioni pratiche di questa norma? La prima implicazione, da cui ne discendono delle altre, riguarda il calcolo degli anni della orlà. In cosa consiste questo precetto? La Torà nella parashà di Kedoshim (Waikrà 19, 23-25) afferma che quando il popolo ebraico entrerà in terra di Israele e pianterà alberi da frutto, per consumarne i frutti sarà necessario attendere tre anni. Il quarto anno i frutti dell’albero saranno sacri e dovranno essere consumati a Yerushalaim. Dal quinto anno in poi sarà invece possibile consumare i frutti liberamente ovunque.
Per designare il motivo per cui il frutto è proibito la Torà lo definisce come orlà, termine che richiama la mitzwà della milà, la circoncisione. Chi non è stato sottoposto alla milà è chiamato ‘arel.
Ma perché questi frutti sono proibiti?
Il Midrash (Waikrà Rabbà 25, 2) dà una spiegazione molto affascinante di questo divieto, collegandolo al comportamento del primo uomo. Adamo non è stato capace di aspettare un’ora, mangiando il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, mentre i suoi figli, entrando in terra di Israele, saranno senz’altro in grado di attendere tre anni!
Analizzando questo confronto, Rav Uriel Eitam nota come i paralleli fra le due formulazioni abbondino: infatti in entrambi i casi si ha l’ingresso in un luogo designato, un divieto collegato al cibo, e più specificamente al frutto dell’albero. Mangiare viene considerata un’attività bassa e fisica, ma in realtà rappresenta una realtà ben più sublime. Il cibo è il canale attraverso il quale viene data vita all’uomo. Non è un caso che la piantagione di alberi sia al centro della storia del giardino dell’Eden e costituisca uno degli incarichi primari assegnati al popolo ebraico una volta entrato in Israele. Il paragone presentato dal Midrash presenta però un aspetto problematico, che viene sviluppato dai mistici. Il popolo ebraico sa che dopo tre anni potrà mangiare il frutto, mentre ad Adamo il frutto dell’albero della conoscenza sembra essere precluso per sempre, rendendo la sua prova molto più difficile!
Secondo Rav Yosef Gikatilla nel libro “Sha’arè Orà” essere l’albero della conoscenza del bene e del male rappresentava solo una condizione temporanea. Se Adamo avesse saputo aspettare, sarebbe arrivato un momento in cui l’albero sarebbe stato solo della conoscenza del bene. Il Midrash considera la capacità di attendere l’aspetto fondamentale nella mitzwà della orlà. L’uomo è portato a cercare una gratificazione immediata, anche se è consapevole che gli porterà nocumento. Il comportamento di Adamo ha provocato un cambiamento fondamentale nella natura. Il giardino dell’Eden aveva una propria santità naturale, con i propri fiumi, alberi e frutti. La colpa di Adamo fa in modo che nel mondo naturale subentri una mescolanza di bene e male, tale da occultare la santità naturale sotto un “guscio” negativo. Mentre nel giardino mangiare era espressione del servizio divino, in questa dimensione l’uomo predilige l’aspetto materiale. L’uomo non è più in grado di entrare in contatto con la natura grezza senza venire danneggiato, ma quando l’albero viene ripulito dalle proprie impurità, può conferire la vita, cancellando il divieto che ricade sui suoi frutti e facendo in modo che l’albero della conoscenza divenga Albero della Vita.