La coreografia del rilascio
Com’era accaduto la settimana scorsa, anche il secondo rilascio delle ragazze israeliane sequestrate da Hamas è avvenuto secondo una minacciosa coreografia militare. Invece di essere scambiate direttamente fra le parti, al confine fra i due territori ostili, senza pubblico per evitare provocazioni, le giovani israeliane sono state consegnate alla Croce Rossa, che non aveva saputo fare nulla per tutelarle in un anno e tre mesi di prigionia. Sono state condotte nella piazza principale dei Gaza, dentro ai pick-up bianchi simili a quelli usati per il pogrom del 7 ottobre, filmate mentre ringraziavano in arabo i loro sequestratori (possiamo immaginare con che animo), costrette a sfilare in divisa militare. Intorno a loro erano schierati i terroristi, tutti in una lugubre uniforme nera con nastri verdi sulla fronte, armati di mitra, col volto coperto da passamontagna. Intorno, una folla festante e insieme e minacciosa per le ragazze. Si è vista una donna tirare ai terroristi petali di fiori e sopra alla riunione volteggiava un drone che lasciava cadere dolci. I rappresentanti della Croce Rossa e le ragazze sono fatti salire su un palco, decorato con bandiere palestinesi e con un’immagine della Cupola della Roccia. Dietro c’era un grande drappo con la bandiera palestinese (quella che certi sindaci e molte manifestazioni di sinistra espongono in segno di “pace”) e un telone con slogan sulla vittoria dei “combattenti della libertà” contro i “nazi sionisti”. Più in basso una scritta a caratteri cubitali in ebraico che afferma che “il sionismo perderà”. Alle rapite è stata messa in mano una borsa ricordo, contenete a quanto pare souvenir, volantini di propaganda e foto ricordo (!) della prigionia.
Una cerimonia militare, non un teatrino
È facile definire questa scena una lugubre buffonata. Ma bisogna capirne il senso, perché la politica è fatta di cerimonie che spesso viste da fuori appaiono solo ridicole, ma sono piuttosto indizi pericolosi. Che c’è di più pagliaccesco del passo dell’oca nazista? Eppure tradiva una volontà di potenza così chiara, che fu poi imitata da molti, compresi i sovietici. Quel che vogliono dire i terroristi di Hamas facendo queste scene è innanzitutto che ci sono, che sono organizzati, armati ed equipaggiati, che godono del consenso della popolazione, che hanno ancora la disciplina di un esercito regolare e che rappresentano lo stato di Palestina. Possono fare patti alla pari con Israele. Sono anche in grado di punire i loro nemici e supposti traditori, come si vede dai filmati che hanno messo in giro in cui ammazzano, naturalmente senza alcuna formalità o processo, degli altri arabi che sospettano di aver collaborato con Israele.
Quel che dice Hamas
Il messaggio più importante, conseguente a queste esibizioni, è che hanno vinto, contrariamente a quel che dice Israele. Hanno vinto perché nonostante tutte le distruzioni materiali e le perdite di uomini e armi, sono ancora lì, controllano il territorio, sono acclamati dagli “innocenti civili”. sono pronti a ricominciare. Israele bada a liberare i suoi rapiti, ragazze, neonati, anziani. Loro reclutano nuove truppe e nello scambio ottengono gli “ufficiali” esperti e disposti a tutto di cui hanno bisogno. Le armi, in un modo o nell’altro arriveranno.
Un messaggio per più pubblici
Hamas parla innanzitutto ai suoi militanti e ai suoi sudditi di Gaza e poi ancora agli arabi di Giudea e Samaria e in generale alla piazza araba. Questo è il suo pubblico principale. A loro dice di essere forte, di non credere a quel che dice Israele, di sostenerli perché loro (non l’Autorità Palestinese) sono capaci di sconfiggere “gli ebrei”. Lo si vede, fra l’altro, per la predominanza dei colori nazionali (verde rosso bianco e nero) su quelli del gruppo (il verde islamico). Il secondo pubblico è in Israele, sono quei gruppi estremisti che non si fanno remore di usare il dramma degli ostaggi nel loro tentativo settario di far cadere il governo a tutti i costi. Parla a loro il messaggio in ebraico, ma anche il fatto di fare gli scambi di sabato, prima delle manifestazioni antigovernative che da sempre si svolgono di sabato sera. A loro Hamas propone, in perfetta malafede, un’alleanza per “fermare la guerra”. Ma che questa sia la premessa alla fine della guerra (alla condizione che Israele si ritiri da Gaza e dal corridoio Filadelfi) è una convinzione diffusa al di là degli estremisti di sinistra. Forse ci crede Trump, forse anche quei generali dello stato maggiore che si sono dimessi, come non avrebbero fatto se avessero pensato di dover lavorare per la ripresa dei combattimenti. Il terzo pubblico sono gli occidentali, in particolare la sinistra che ha tanto lavorato per aiutare Hamas, col pretesto che “a Gaza c’era il genocidio”. Ora non recitano più la fame e il genocidio, hanno cambiato film, dicono di essere vincitori. Ma non perderanno per questo l’appoggio di chi vede in loro “l’avanguardia della rivoluzione”: l’hanno mostrato le inchieste sociologiche che hanno rilevato un’esplosione dell’antisemitismo subito dopo il 7 ottobre, prima ancora della reazione israeliana: perché molti, più o meno consciamente, pensavano bene di appoggiare una “rivolta eroica”.
La risposta di Israele
È fondato il messaggio di Hamas? Non avevano chiaramente perso la guerra? Sul piano militare hanno certamente subito gravi perdite, ma non sono stati distrutti anche grazie al freno americano alle azioni di Israele e a una strategia dello stato maggiore che per diminuire le perdite ha evitato di occupare stabilmente il territorio nemico. Fa parte della logica della guerra asimmetrica che gli irregolari, se sopravvivono anche decimati a una campagna militare, non hanno perso. Il gioco però non è chiuso. Se la guerra fra un mese riprenderà fino alla vittoria, come Netanyahu ha promesso, questo resterà solo come un tentativo velleitario di propaganda. Se l’Iran che è la testa della piovra terrorista sarà messo in condizione di non nuocere, Israele avrà vinto davvero e il Medio Oriente cambierà in maniera radicale. Se tutto ciò non accadrà e alla fine della prima fase dell’accordo Israele sarà costretto a procedere con le fasi successive e a ritirarsi da Gaza, bisognerà stare molto attenti, perché Hamas lavorerà senza sosta per anni in direzione di un nuovo 7 ottobre. I teatrini degli scambi servono soprattutto a minacciare questo: la ripresa delle guerra nei tempi e nei modi che troveranno opportuni.