Israele e Hamas sembrano essere più vicini a un nuovo accordo, che prevede una lista iniziale di 33 ostaggi israeliani vivi e morti nella prima fase, con un’eventuale estensione della liberazione di tutti gli altri prigionieri in una seconda fase. Tuttavia, le famiglie dei 65 ostaggi esclusi dalla Fase I nutrono serie preoccupazioni, temendo che la Fase II possa non essere mai attuata. Tali timori sono supportati dall’esperienza di lunghi ritardi negli accordi passati, come nel caso di Gilad Shalit, il cui rilascio ha richiesto oltre cinque anni.
Hamas, che considera i restanti ostaggi una risorsa negoziale cruciale, richiede la fine completa della guerra in cambio del loro rilascio, una “pace sostenibile” che includa il ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza e l’afflusso di miliardi di dollari per la ricostruzione. Inoltre, nella Fase II, Hamas potrebbe avanzare richieste più onerose, come il rilascio di prigionieri di alto profilo.
Dal canto suo, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha più volte dichiarato che non porrà fine alla guerra senza raggiungere gli obiettivi prefissati: il ritorno di tutti gli ostaggi e la conclusione definitiva del controllo di Hamas a Gaza. Il ministro della Difesa Katz ha inoltre sollecitato le forze armate a preparare un piano per sconfiggere Hamas nel caso in cui gli ostaggi non vengano rilasciati, sostenendo che discutere di “ciò che avverrà dopo” è prematuro finché Hamas mantiene una forza militare significativa.
Un altro nodo cruciale è la gestione delle negoziazioni durante la Fase II. Hamas potrebbe ricorrere a tattiche manipolative per ritardare il rilascio degli ostaggi, obbligando Israele a difficili scelte morali e strategiche. Israele ha conservato alcune leve di pressione, come il controllo della zona cuscinetto e del Corridoio di Philadelphi, ma queste perdono efficacia con il progredire delle trattative. È quindi fondamentale legare il completamento della ricostruzione di Gaza al rilascio di tutti gli ostaggi.
Parallelamente, i mediatori internazionali hanno proposto un comitato di tecnocrati per governare Gaza nel “giorno dopo”, sotto il controllo dell’Autorità Palestinese. Tuttavia, lo stesso presidente dell’Anp Mahmoud Abbas si sta opponendo, temendo che Hamas sfrutti questa soluzione per mantenere il potere. Inoltre, la prospettiva di un disarmo completo di Hamas appare remota, complicando ulteriormente la transizione verso una governance stabile e accettabile per tutte le parti.
La dimensione regionale aggiunge ulteriore complessità. L’Arabia Saudita, ad esempio, ha subordinato una possibile normalizzazione con Israele alla cessazione della guerra e a progressi significativi verso uno Stato palestinese. Anche gli Emirati Arabi Uniti hanno mostrato disponibilità a contribuire alla gestione temporanea di Gaza, includendo governance, sicurezza e ricostruzione, ma solo sotto invito dell’Autorità Palestinese. Israele, tuttavia, è restio a delegare completamente il controllo a forze esterne.