Mi chiamo Yosef, figlio di Ya’akòv. Sono nato a Charàn nel podere del mio prozio Lavàn. Sono l’undicesimo di dodici fratelli. Quando avevo diciassette anni e accudivo al gregge di famiglia, cercavo di spiegare ai miei fratelli maggiori che mi intendevo di questioni pecorine molto più di loro (Sforno). Mio padre se ne rese conto e mi diede una tunica di lana colorata, un segno che mio padre riconosceva che ero destinato a essere il leader anche se ero più giovane (Sforno). Poi ebbi un paio di sogni che mostravano che sarei stato colui che avrebbe sfamato la famiglia. Nonostante che cercassi di convincere i miei fratelli che questi sogni indicavano il futuro, essi pensavano che li avessi raccontati a loro perché così pensavo di giorno (trattato Berakhòt). Fu così che quando mio padre mi mandò a Shekhèm per vedere se c’era qualcosa da mettere a posto nel modo in cui i miei fratelli pascolavano il gregge, per un motivo che non capisco, i miei fratelli mi presero e mi buttarono in un pozzo vuoto. Poi quando passò una carovana di mercanti midianiti (Sforno), mi vendettero schiavo. Per fortuna la carovana trasportava spezie e balsamo così non soffrii troppo durante il trasporto (Rashì). Arrivati in Egitto, i carovanieri mi misero in vendita nel mercato degli schiavi. Fui fortunato. Grazie al mio bell’aspetto mi comprò un certo Potifar, il ministro delle guardie del faraone. Potifar si accorse presto delle mie capacità. Prime mi prese come attendente personale e poi mi fece direttore della casa e di tutte le sue proprietà. L’unica cosa che non mi lasciò fare era di preparare i suoi pranzi. Le cose andavano assai bene per me. Servii Potifar per un anno e, grazie a Dio, in questo periodo riuscii a moltiplicare i profitti di tutte le attività di Potifar. E poi avvenne la mia disgrazia. La moglie di Potifar, cominciò ad avvicinarsi a me. Cercai di spiegarle che non volevo avere nulla a che fare con lei per non tradire la fiducia del mio padrone, suo marito. Tutto questo non servì a nulla e un giorno, quando in casa non c’era nessuno mi intrappolò; mi prese per il vestito chiedendo di avere rapporti con lei. Scappai fuori casa per non rimanere invischiato con lei e per non commettere un peccato capitale con una donna sposata (Rashì). Poi, lei andò a raccontare al marito che ero stato io a insidiarla. In condizioni normali, Potifar mi avrebbe fatto giustiziare. Ma conoscendomi bene, non credette alla storia che gli raccontò la moglie (Ibn ‘Ezra). Mi disse che mi doveva mettere in prigione per non rovinare la reputazione della moglie e che la gente non pensasse che i suoi figli non erano suoi (Midràsh Rabbà). Per mostrare che non credeva alla moglie, mi accompagnò personalmente nella sua prigione dove erano incarcerati i prigionieri politici (Abarbanel). Il carceriere capo, sapendo che ero innocente e che ero stato direttore del casato di Potifar, mi incaricò di occuparmi dei prigionieri (Targùm Yonatàn). Dopo nove anni in prigione, furono incarcerati due ministri del faraone. Uno era il sovraintendente dei coppieri e l’altro dei panettieri del faraone. Questi due ebbero dei sogni premonitori ed erano assai turbati. Temendo per il loro futuro, cercavano disperatamente qualcuno che interpretasse i loro sogni. Dissi loro che i sogni premonitori vengono da Dio. Che mi raccontassero i loro sogni e forse sarei stato capace di dare loro una interpretazione. Interpretare i sogni fu più facile di quanto pensassi. Tre giorni dopo era il compleanno del faraone. Il capo coppiere disse di avere sognato di vedere una vite con tre tralci dai quali spuntarono germogli, fiori e subito dopo grappoli maturi. Poi disse che aveva sognato di prendere l’uva, di spremerla e di portare la coppa al faraone. Gli dissi che il fatto che avesse visto solo tre tralci, cosa poco frequente, era evidente che significavano tre giorni e non tre anni (Nachmanide). E che come aveva visto nel sogno, tra tre giorni avrebbe nuovamente portato la coppa al faraone. Il capo dei panettieri ebbe invece un pessimo sogno premonitore. Mi disse che aveva visto tre cesti sulla sua testa e degli uccelli che venivano a mangiare pane dal cesto superiore. Anche qui spiegai che i tre cesti significavano tre giorni. Poi il fatto che nel sogno gli uccelli non avessero paura di lui, significava che era un uomo morto (Azulai). Così gli dissi che tra tre giorni il faraone lo avrebbe impiccato. Sperando di aver trovato un modo per uscire da questa prigione, spiegai al capo dei coppieri che ero stato messo qui senza aver commesso nessun crimine e gli chiesi di intercedere per me presso il faraone che mi aveva conosciuto a casa di Potifar (Sforno). Ora sono passati altri due anni e sono ancora qui in prigione da undici anni. Il coppiere si è dimenticato di me. Sto pregando che il Signore mi aiuti (Selikhòt).