Siamo qui a celebrare i primi 120 anni di questa Sinagoga. La prima volta che compare nella Bibbia il numero 120, proprio collegato agli anni, è al sesto capitolo della Genesi in cui si formula un giudizio severo per l’uomo che si sta comportando male e si annuncia che i suoi giorni saranno 120 anni. Per qualche interprete sarebbe l’annuncio che da quel momento la durata della vita dell’uomo non avrebbe superato i 120 anni, ma per la maggioranza degli interpreti è l’annuncio di una proroga concessa all’umanità; non vi state comportando bene, sappiate che per questo rischiate l’estinzione, vi do 120 anni per ravvedervi. L’annuncio non fu preso sul serio e alla fine arrivò il diluvio. In base a questi racconti, quale è la lezione e quale è la sfida per noi una volta arrivati al traguardo dei 120 anni? Coloro che edificarono questo Tempio non ebbero una proroga tanto lunga. Le loro certezze e le loro speranze si infransero molto prima davanti alle tragedie che colpirono l’Europa e si accanirono contro questa comunità. Ma non ci furono solo eventi tristi. Ci furono gioie collettive come la liberazione, la Costituzione repubblicana, la nascita dello Stato d’Israele e le sue vittorie, la creazione di nuovi rapporti con la cristianità segnata dalle visite di tre pontefici. E insieme a questo le gioie dei singoli e delle famiglie, che festeggiano qui i figli che crescono, celebrano matrimoni e festeggiano persino le nozze di diamante. Sembra che dai tempi lontani del diluvio la dinamica non sia più quella della fine del mondo, preannunciata, e totale, ma che tutto avvenga in una dimensione più locale fatta di gioie e dolori ai quali dobbiamo prepararci. Resistere, sperare e costruire. La storia di questo edificio e della comunità che rappresenta serve a dimostrare che ce la possiamo fare, che non c’è limite alla misericordia divina ma che c’è da parte nostra il dovere di comportarci bene. Il diluvio arrivò perché, dice la Bibbia “la terra si era corrotta e si era riempita di violenza” (Genesi 6:11 e 13). Con una sinistra evocazione, la parola violenza traduce il termine ebraico biblico che è hamàs, si proprio hamàs. La sopravvivenza della nostra società sta nella convivenza pacifica di cittadini che rispettano le leggi e che condividono il dovere di costruire insieme un mondo migliore. E tutto questo non riguarda tempi eccezionali ma è l’obbligo della quotidianità
Il rabbino Spagnoletto nel suo intervento spiegherà alcuni simboli di questo edificio che tra l’altro conserva la memoria della Sicilia da cui arrivarono gli esuli del 1492. Ogni dettaglio di questo Tempio tramanda una storia, che spesso è storia di sofferenze, ma anche di tenacia, di volontà di sopravvivere e vivere, di trasformare l’umiliazione in bellezza,
Dopo le turbolenze del secolo scorso basate su ideologie e nazionalismi, il primo quarto di questo secolo sta conoscendo altre forme di turbolenze sanguinose. Il mondo occidentale sembra quasi impotente a fronteggiare le nuove sfide. La piccola grande storia della nostra comunità e del Tempio che la rappresenta può dare un contributo positivo. Perché è un monito contro le derive violente, le espulsioni, le emarginazioni -il ghetto di Roma era proprio qui-, la privazione dei diritti. Ma è l’esempio virtuoso di come una comunità può rimanere fedele alle sue tradizioni e al contempo integrarsi virtuosamente, rappresentando una ricchezza per Roma e l’Italia
Ogni società anche quella più solida, è a rischio, se non avverte i sintomi della crisi e non vi pone riparo per tempo. I nostri valori fondanti, che sono quelli stabiliti dalla Costituzione, vanno difesi e promossi. La costituzione, la carta fondamentale scritta dopo la fine della barbarie nazifascista, il documento che afferma il principio di uguaglianza dei cittadini, e che tra l’altro, porta la firma di un ebreo, Umberto Terracini. Per questo, Signor Presidente, in tempi difficili come questi, la nostra comunità guarda a Lei come il primo garante di quel testo e della stabilità del nostro Paese.
Anche se la storia e la attualità concentrano la nostra attenzione, non dobbiamo dimenticare il senso essenziale questo edificio. Quando il re Salomone costruì il primo Tempio di Gerusalemme si pose una domanda, parlando al Signore: “Il cielo e la terra non Ti possono contenere e che cosa può pretendere questo edificio”, benché grandioso? (1 Re 8:27). La risposta sta già nelle parole dell’Esodo, con cui il Signore ordina la costruzione del tabernacolo: “mi faranno un santuario e abiterò in mezzo a loro” (Es. 25:8). Si nota subito che non è detto che abiterò nel santuario”, ma abiterò in mezzo a loro. Ogni sinagoga è un piccolo santuario. Serve a portare il sacro in mezzo a noi, e ad avvicinare noi al sacro. Ad ognuno di noi, noi tutti, che siano per questo disponibili. E sacro, nell’ebraismo, è ciò che innalza l’umanità, che gli dà dignità, che riconosce l’immagine divina in ogni essere umano. Di questo abbiamo bisogno, tanto più in momenti come questi.
Grazie signor Presidente