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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Parashà di Toledòt: Yitzchàk, un modello di dedizione ai figli.

    Yitzchàk sposò Rivkà all’età di quaranta anni e Rivkà, secondo il Seder ‘Olam (una cronologia degli eventi biblici composta nel secondo secolo dell’era volgare), ne aveva quattordici. La nascita dei due figli non fu facile. Rivkà non riusciva a concepire e solo dopo tante preghiere ebbe i due gemelli Esaù e Ya’akòv, quando Yitzchàk aveva sessanta anni (Bereshìt, 25:26). Solo questo fatto dovrebbe essere sufficiente per spiegare l’amore e l’attaccamento dei genitori a questi figli nati con tanta difficoltà.
    R. Joseph Pacifici (Firenze, 1928-2021, Modiin Illit) in Hearòt ve-He’aròt (p. 27) osserva che questo mostra che la vita d’Israele non funziona naturalmente e per questo sono necessarie le nostre tefillòt (preghiere). Anche la nostra sopravvivenza nella terra d’Israele è fatta di miracoli.
    Nella Torà è scritto che Yitzchàk amava Esaù, mentre Rivkà amava Ya’akòv (ibid., 25:28).
    R. Israel Belsky (New York, 1938-2016, Brooklyn) in Enei Yisroel (p.159) scrive che uno degli argomenti più discussi in questa parashà è quello dell’amore speciale che Yitzchàk nutriva per Esaù. La Torà parla di questo amore ben prima che Yitzchàk, nella sua vecchiaia, perdesse il dono della vista. Pertanto non è possibile ipotizzare che Yitzchàk non si rendesse conto del pessimo comportamento di Esaù. Inoltre non è possibile pensare che Yitzchàk non amasse Ya’akòv, uomo mite, di perfetto carattere che dedicava il suo tempo alla cura del gregge (come Moshè e David) e che quindi aveva tempo di meditare e di dedicarsi allo studio della Torà che studiavano i patriarchi. Esaù invece era descritto come “un uomo esperto di caccia (ish tzaid), un uomo di campagna (ish sadè)” (ibid., 25:27). Onkelos, il traduttore della Torà in aramaico, traduce ish tzaid con il termine nachshirkhàn, fannullone (Tosefòt, trattato Bavà Batrà, 139a). Qual’era quindi il motivo di questo amore e cosa aveva di speciale?
    R. Pacifici cita una spiegazione di r. Isaac Sher (Belarus, 1880-1952, Bene Berak), rosh yeshivà di Slabodka (che prese il nome da un rione di Kaunas in Lituania), che nelle sue numerose derashòt (discorsi di Torà) su Esaù, disse che Esaù era dotato di forze spirituali superiori a quelle di Ya’akòv. Tuttavia Esaù non usò queste sue forze nel modo giusto. Pertanto è comprensibile che Yitzchàk vedesse in Esaù un uomo con grandi forze spirituali e pensasse che fosse possibile indirizzarlo ad usarle per fare del bene.
    R. Belsky cita il trattato Ketubòt (50a) nel quale i maestri insegnano che i bambini tra l’età di sei e dodici anni devono essere incoraggiati a studiare in modo gentile. Dopo i dodici anni, quando il bambino ha raggiunto un certo livello di maturità, i genitori possono usare metodi più forti. Yitzchàk si rendeva conto che usando metodi coercitivi non sarebbe riuscito a ottenere risultati nell’educazione di Esaù. Esaù se ne sarebbe andato via dalla famiglia. Invece rimase vicino alla famiglia fino ad oltre l’età di sessanta anni. Pertanto Yitzchàk continuò a riversare il suo amore su Esaù, nella speranza che grandi dosi di amore e di lodi lo avrebbero avvicinato alla vita ebraica. In questo modo Yitzchàk ebbe qualche successo: il suo amore servì a far sì che Esaù ebbe grande rispetto per il padre. Rabbi Shim’on ben Gamliel disse: nessun uomo ha mai onorato suo padre come ho fatto io con mio padre, eppure ho trovato che Esaù onorava suo padre anche più di me (Midràsh Devarìm Rabbà, 1:15)
    Da Yitzchàk impariamo che un genitore non deve rassegnarsi anche se un figlio non si comporta come dovrebbe. Bisogna continuare a fare tutto quello che è necessario per avvicinare anche il figlio più ribelle. R. Belsky conclude dicendo che l’amore di Yitzchàk per Esaù mostra come bisogna cercare di tenere vicini i figli e che il comportamento di Yitzchàk è un modello di dedizione nei loro confronti.

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