Sara era morta. Ora Avraham si trovava nella triste necessità di seppellirla, senza avere un cimitero di famiglia. A tale scopo si rivolse ai maggiorenti dei Hittiti che abitavano a Chevron. Egli chiese loro di intercedere presso Efron in modo che gli vendesse la grotta di Machpellà come sepolcro perpetuo per la famiglia (Bereshìt, 23: 6-9).
Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) nel suo commento, scrive che la Torà vuole farci sapere dove sono sepolti i nostri patriarchi perché è nostro obbligo onorare il luogo della sepoltura dei nostri santi antenati.
Shimshon Nachmani (Modena, 1706-1779, Reggio Emilia) in Zera’ Shimshon (p. 123) domanda per quale motivo Avraham chiese di acquistare un sepolcro perpetuo per la famiglia e non solo un posto per la tomba di Sara. Come premessa per rispondere alla sua domanda, egli cita lo Shulchàn ‘Arùkh (Y.D., cap. 363:2) dove è scritto: “Non si trasporta un morto da una città nella quale vi è un cimitero [ebraico] a un’altra città a meno che non si trasporti dalla Diaspora a Eretz Israel, o nel sepolcro degli antenati”. R. Gur Arie Halevi Finzi (Mantova, m. 1696) in una sua nota allo Shulchàn ‘Arùkh ( edizione pubblicata a Mantova nel 1723), citando r. Shlomo ibn Aderet (Barcellona, 1235-1310) scrive che se una persona ha dato ordine di essere seppellito nel sepolcro degli antenati e, per un motivo di forza maggiore, la cosa non è stata possibile e la sepoltura è stata fatta nel luogo dove è morto, incombe sui figli la mitzvà di tirarlo fuori da li per eseguire le sue istruzioni.
Sulla base di questa premessa, R. Nachmani spiega che Avraham temeva che Hittiti gli dicessero che andasse a seppellire la moglie nella città dove erano stati seppelliti gli antenati di Sara e così pure facesse lui dopo la sua morte. Per questo Avraham disse loro che era venuto per stabilirsi nella terra di Canaan e, essendo diventato un residente, desiderava un sepolcro perpetuo per la famiglia e non solo una tomba per la moglie. Altrimenti anche se alla sua morte lui fosse stato sepolto a Chevron, le due tombe sarebbero state separate e sarebbe stato poco decoroso che la moglie fosse stata sepolta da sola.
Shimshon Rafael Hirsch (Amburgo, 1808-1888, Francoforte) nel suo commento alla Torà (edizione inglese, p. 503) scrive che Avraham richiese qualcosa di più che il permesso di seppellire la moglie. Egli voleva un sepolcro perpetuo. Egli aveva abitato per tanti anni nel paese e nonostante la sua ricchezza non aveva mai acquistato un pezzo di terra. Ora la morte della moglie rese necessario l’acquisto. La tomba della moglie doveva diventare il primo legame perpetuo al paese. Solo dopo che l’acquisto permanente fu concluso, Avraham seppellì Sara. R. Hirsch coglie l’occasione per affermare che gli ebrei non hanno il concetto di un limite di tempo nel mantenimento dei cimiteri. Il posto nel quale vengono sepolti i famigliari è sacro per sempre.
Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p.165) scrive che da questo racconto deriviamo l’importanza di seppellire in nostri morti in un cimitero ebraico. La proibizione di seppellire un ebreo in un cimitero non ebraico è così forte, che anche se un ebreo è stato seppellito in un cimitero non ebraico, bisogna estrarre la salma e seppellirla in un cimitero ebraico. Egli cita il nonno r. Chayim Soloveitchik (Volozhin, 1853-1918, Varsavia), che fu rav a Brisk (Best Litovsk), il quale disse che questo obbligo è così forte che perfino un Kohen, al quale è proibito venire in contatto con morti, è obbligato a estrarre la salma per seppellirla in un cimitero ebraico, se non c’è nessun altro che lo possa fare.