Denunciare la violenza, l’orrore del 7 ottobre. Risvegliare l’attenzione sui cittadini israeliani ancora nelle mani di Hamas. Anche loro sono stati ostaggi dei terroristi, adesso sono tornati a casa, pur non potendo dire di essersi lasciati tutto alle spalle, perché gli incubi tornano e Israele combatte ancora per la propria sicurezza. Un gruppo di ex ostaggi israeliani, in visita a Roma, ha incontrato la stampa per condividere la sua testimonianza. “Il 7 ottobre è stato un crimine contro le donne”, ha detto Sharon Lifshitz a Shalom durante la conferenza stampa degli ex ostaggi, tra i quali sua madre Yocheved Lifshitz, Elena Troufanov, Louis Har, Sahar Kalderon e Adi Shoham. “Il nostro vero nemico è l’odio, l’odio verso chi è diverso. È devastante, e lo è ancora di più vedere come i social media, che dovrebbero unire, finiscano per alimentare l’odio e creare nemici”, ha aggiunto Lifshitz, esprimendo la sua delusione per il ruolo dei social nella diffusione di divisioni e pregiudizi.
Ad aprire la conferenza stampa, Yaron Sideman, ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, che ha parlato della devastazione provocata dagli eventi del 7 ottobre, una data che ha lasciato cicatrici indelebili nella società israeliana. “Molti di noi sono andati avanti, ma non chi ha vissuto l’orrore di quel giorno, non chi è stato rapito o ha visto persone amate uccise brutalmente dai terroristi. Per gli ostaggi ancora trattenuti a Gaza, ogni giorno è una lotta per la sopravvivenza”, ha affermato Sideman, elogiando l’impegno di Papa Francesco, che ha incontrato gli ex ostaggi e ha promesso loro di fare tutto il possibile per il rilascio delle 101 persone ancora nelle mani dei terroristi palestinesi. “Siamo grati al Papa per il suo supporto”, ha aggiunto, ribadendo che la priorità assoluta per Israele è riportare a casa ogni prigioniero.
Elena Troufanov, rapita insieme alla madre, al figlio Sasha e alla fidanzata di quest’ultimo dal Kibbutz Nir Oz, ha condiviso il suo strazio per le condizioni del figlio, ancora prigioniero. “Sono stata separata dalla mia famiglia per 54 giorni”, ha raccontato Troufanov. “Solo al mio rilascio ho scoperto che mio marito era stato ucciso e che mio figlio era ancora prigioniero. Recentemente, un video diffuso dalla Jihad islamica ha mostrato mio figlio Sasha, e l’ho visto profondamente cambiato, sia fisicamente che mentalmente”, ha sottolineato. “Ora che arriva l’inverno, la mia preoccupazione è ancora maggiore. Chiedo che facciate tutto il possibile per riportarlo a casa”, ha aggiunto.
Louis Har, rapito dal Kibbutz Nir Yitzhak con la sua famiglia, ha raccontato non solo l’esperienza angosciante del sequestro, ma anche i momenti concitati della sua liberazione, avvenuta grazie a una complicata operazione nel cuore di Gaza. “Sono stato trattenuto in condizioni disumane per 129 giorni. Sono felice di essere qui oggi, ma non posso accettare che ancora 101 persone siano a Gaza”, ha dichiarato. “Ricordo ogni dettaglio di quell’operazione: il fuoco, le pallottole, e la voce di Fernando, un soldato che mi ha chiamato dicendomi: ‘Louis, siamo qui per riportarti a casa’. Devo loro la mia vita”, ha affermato Har, esprimendo gratitudine all’IDF. Har ha anche ricordato la violenza subita da altri ostaggi e ha sottolineato che il 7 ottobre rappresenta un crimine contro l’umanità. “In un forum, ho ascoltato testimonianze di violenze sessuali subite da uomini e donne davanti ai bambini. Questa barbarie è inaccettabile”, ha dichiarato con forza.
Gaya Kalderon, sorella di Sahar ed Erez, ha descritto il trauma della sua famiglia: metà dei suoi cari è stata uccisa e l’altra metà è stata presa in ostaggio. Suo padre Ofer è ancora prigioniero e versa in condizioni precarie. “Mia sorella, quando è stata rilasciata, ha raccontato di aver visto nostro padre spaventato e dimagrito. Non smettiamo di pensare a lui. Il mio unico desiderio è che venga fatto tutto il possibile per riportarlo a casa”, ha detto tra le lacrime. “Pensate come sarebbe per voi vivere questa situazione”, ha chiesto alla stampa e al pubblico, aggiungendo: “Abbiamo bisogno di lui, è il miglior padre del mondo.”
Sharon Lifshitz, figlia di Oded e Yocheved, ha parlato delle pesanti perdite subite dalla comunità di Nir Oz, che ha visto 56 vittime e 29 persone ancora prigioniere. Ringraziando il Papa per il sostegno e la promessa di pregare per i 101 ostaggi ancora in prigionia, Lifshitz ha ribadito l’urgenza di azioni concrete. “Abbiamo bisogno di azioni, non solo di preghiere. Serve un accordo, e spero che Biden e Trump possano collaborare per trovarlo prima dell’inverno”.
Commentando quanto accaduto a Belluno, ha poi affermato: “Spesso le persone non separano il governo dagli individui. Molte azioni dello Stato non rappresentano le mie idee, ma ciò non significa che io e la mia famiglia dobbiamo essere identificati come agenti del governo israeliano”.