Una giovane storica francese, Nina Valbousquet – Les âmes tièdes. Le Vatican face à la Shoah, (La Découverte) ha trascorso tre anni a ricostruire la politica della Santa Sede nei confronti degli ebrei attraverso il materiale conservato negli archivi del Vaticano riguardante il pontificato di Pio XII e ha fatto scoperte importanti, suffragate da una imponente mole documentaria, relative al rapporto fra le gerarchie cattoliche e gli ebrei nel periodo cruciale delle leggi razziali e dello sterminio. Scoperte che cambiano in modo significativo la ricostruzione dei fatti comunemente accettata fino a questo momento. È curioso che di questo libro si sia parlato poco, anzi pochissimo, sia in Francia che in Italia.
Già dal 1942, e successivamente sempre con maggiore abbondanza di informazioni, in Vaticano arrivano notizie dello sterminio degli ebrei messo in atto nell’Europa dell’est e in Germania. Ma Monsignor Angelo Dell’Acqua, il dignitario della Segreteria di stato addetto ad occuparsi degli ebrei – che in ogni circostanza e in ogni suo atto rivela una forte dose di antisemitismo – consiglia regolarmente Pio XII di non prendere quelle informazioni troppo sul serio perché «si sa, gli ebrei esagerano sempre». Non solo, suggerisce di non condividere le informazioni ricevute con gli Alleati: la cosa potrebbe sembrare infatti una rottura della neutralità conclamata dalla Santa Sede, come si sa mantenuta scrupolosamente fino al momento della sconfitta delle potenze dell’Asse.
Non ci dobbiamo stupire: nel settembre del 1938 «La Civiltà Cattolica», prestigiosa rivista dei gesuiti, si era ben guardata dal condannare le leggi razziali italiane e, dopo la fine del fascismo il 25 luglio, il gesuita Pietro Tacchi Venturi – con il consenso del papa – era andato dal maresciallo Badoglio a chiedere di non cancellare le leggi razziali, ma di conservarle: magari con qualche modifica da definirsi più tardi.
Nel rifiuto di Pio XII di condannare l’antisemitismo e la distruzione del popolo ebraico sono presenti, infatti, varie anime: quella diplomatica, mirante a mantenere una rigida neutralità e a non prestarsi – sembra quasi un’ossessione – a eventuali strumentalizzazioni, e poi il timore, varie volte evocato, di «peggiorare la situazione» – ma, come scrive Valbousquet, cosa poteva succedere di peggio? – . Si aggiungeva a tutto ciò una dose indubbiamente non piccola di diffidenza e antipatia verso gli ebrei di cui rimane traccia in tutta la documentazione.
Il papa si limita così a invocare la pace e la fine della persecuzione verso i vinti di ogni tipo, ma non nomina mai gli ebrei, non condanna mai in modo esplicito l’antisemitismo. Perfino dopo la fine della guerra. Il massimo che arriva a dire è che ci sono popoli «tormentati per la loro nazionalità o la loro origine», perfino destinati «a costrizioni sterminatrici». Ma la parola ebrei non viene mai pronunciata, perché anzi, scrive il solito Dell’Acqua, «bisognerebbe far sapere a questi signori ebrei di parlare un po’ meno e di agire con più prudenza».
Sono tanti i luoghi comuni antigiudaici – la punizione divina per il popolo deicida, per esempio, sempre riesumata – che compaiono in questi documenti, e che spiegano in parte almeno le scelte di Pio XII, anche dopo la fine della guerra e pure dopo che personaggi di rilievo come Maritain, nuovo ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, si sono spesi per spingere il papa a prendere posizione più nette di condanna dell’antisemitismo.
Il Vaticano si difende dalle accuse di aver mancato di solidarietà con gli ebrei sbandierando le operazioni di salvataggio realizzate – ora veniamo a sapere – a sua insaputa o al massimo tollerate durante il conflitto, nelle quali in realtà l’ordine era di preferire gli ariani ai non ariani, anche se convertiti, i quali sono spesso colpevoli, “di aver fatto più onore alla razza che al cattolicesimo”.
Dalla documentazione emerge infatti che la carità fu soprattutto circoscritta agli ebrei convertiti, o ai figli delle coppie di unione mista, cioè ai cosiddetti fedeli non di razza ariana, piuttosto che agli ebrei in generale. E se un certo aiuto fu senza dubbio fornito in molti casi, questo fu elargito per iniziativa di singoli ecclesiastici o religiosi, senza che dal Vaticano venissero allora parole di sostegno e di approvazione. Anzi, nei documenti vaticani si incontrano continui allarmi e avvertimenti a non accompagnarsi troppo da vicino ai “giudei”, che con la loro influenza negativa possono contaminare la vera fede. La documentazione presente in questo libro mostra che le gerarchie vaticane sospettano sempre che a determinare questa scelta sia stato il denaro, elargito generosamente dai giudei che come si sa sono ricchissimi. Bastava un simile sospetto a mettere in cattiva luce una scelta ispirata invece a una genuina carità cristiana.
In parte il Vaticano è stato aiutato in quest’opera di occultamento della realtà dalle stesse associazioni ebraiche che cercano, con opportuni ringraziamenti al papa per l’aiuto prestato, di ottenerne la solidarietà nel tentativo proprio allora in corso di dar vita allo Stato di Israele. Cosa che ovviamente non accade: ma intanto Pacelli incassa i ringraziamenti, che sembrano confermare un aiuto che in realtà è stato ridotto, e per di più sostenuto solo in minima parte dalla Santa Sede.
Con una quantità di documenti veramente impressionante il libro di Valbousquet in sostanza impone alla cultura cattolica una revisione del rapporto con il popolo ebraico, cioè con le sue radici. Una revisione tra l’altro che, a parte alcuni eventi pubblici come le visite dei papi in sinagoga, in questi ultimi anni si è fermata, proprio nel momento in cui alcune forme di antisemitismo si stavano riaffacciando anche nella Chiesa.