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    NEWS

    Cristoforo Colombo: ebreo sefardita?

    Quando il DNA riscrive la storia (o almeno ci prova)

    Ha suscitato scalpore la recente messa in onda di un documentario sulla TV spagnola in cui José Antonio Lorente, antropologo molecolare, professore di Genetica medica e Medicina legale presso il Dipartimento di Medicina Legale, Tossicologia e Antropologia Fisica dell’Università di Granada, ha annunciato i risultati di una ricerca in corso: l’analisi del DNA dei resti attribuiti a Cristoforo Colombo conservati a Siviglia, confrontati con quelli di parenti noti, come il figlio Fernando e il fratello Diego, ne confermerebbe l’identità. Non solo: lo studio, i cui risultati non sono stati ancora pubblicati, rivelerebbe qualcosa d’inatteso: l’appartenenza del navigatore alla comunità sefardita iberico-orientale. Si badi: l’ipotesi è antica. Già nel 1944, Salvador de Madariaga, docente, politico e diplomatico, ipotizzava che il navigatore discendesse da ebrei catalani emigrati in Liguria nel XIV secolo. E ciò, sulla base del suo messianismo biblico (piuttosto tardo, tuttavia: legato alla fase finale della sua vita e ai momenti di maggiore scoramento, conseguenti alla sua estromissione dai “proventi” della scoperta/conquista di cui fu protagonista) e dell’utilizzo d’una firma particolare: un criptogramma molto discusso che conterrebbe, a suo dire, simboli cabalistici. In realtà, se il primo elemento era comune tra i cristiani dell’epoca, senza destare sospetti presso i re Cattolici, l’interesse per la cabala, qualora confermato, non implicherebbe, certo, l’ebraicità. È difficile, inoltre, che il nostro fosse catalano: i suoi scritti sono in un castigliano impregnato di lusitanismi. La tesi, a ogni modo, fu ribadita nel 1973 da Simon Wiesenthal, non uno storico di professione, nel suo “Sails of Hope. The Secret Mission of Christopher Columbus”, per cui Colombo non sarebbe stato altro che un criptoebreo – dunque, un dissimulatore -, deciso, a seguito del decreto d’espulsione dai regni di Castiglia e Aragona emanato il 31 marzo del 1492, a trovare un rifugio sicuro per il proprio popolo. Una teoria, questa, basata più su supposizioni che su vere e proprie prove; a partire, ad esempio, dalla presunta reticenza del nostro circa le proprie origini e il tono criptico di alcune sue lettere. Recentemente, l’ipotesi è stata sposata, con maggiori cautele, da Jonathan Ray, professore di Studi ebraici alla Georgetown University (autore di “Jewish Life in Medieval Spain: A New History”, edito nel 2023), che ha sottolineato come la condizione di converso fosse assai diffusa nella Spagna del tempo. A ciò si aggiungerebbero alcune peculiarità del nostro, tra cui la conoscenza dell’alfabeto ebraico e del calendario o la vicinanza a ebrei e conversi famosi, tra cui astronomi e letterati. Anche in questo caso, tuttavia, si tratta di una situazione consueta nella penisola iberica del tempo. In realtà, non vi sono prove del fatto che Colombo abbia vissuto una vita ebraica. Le testimonianze documentarie dicono tutt’altro, facendo del nostro un fervente cristiano, teso ad allargare gli orizzonti della “Christianitas” per il bene della Chiesa di Roma e della monarchia (nel prologo del “Diario di bordo”, per quanto rimaneggiato, si legge, anzi, una lode nei confronti del decreto d’espulsione). Gli scritti del navigatore contengono continui riferimenti alla fede trinitaria. Non si può dubitare, inoltre, della conoscenza approfondita del testo biblico ma altrettanto delle opere di numerosi Padri della Chiesa o di religiosi particolarmente influenti (mi limito a menzionare Gioacchino da Fiore). La sua vicinanza all’universo – anche culturale – francescano, constante nel corso di buona parte della sua vita, costituisce una prova ulteriore. Le testimonianze relative alla genovesità di Colombo, infine, vanno nella stessa direzione. La documentazione conservata presso l’Archivio di Stato di Genova concorre a delineare un contesto prettamente cristiano, oltre, naturalmente, ad affermarne la genovesità. Da questo punto di vista ci sono, ormai, pochi dubbi. Basti menzionare, ad esempio, il cosiddetto “documento Assereto”, scoperto nel 1904 dal colonnello Ugo Assereto: una deposizione rilasciata nel 1479 da un certo Cristoforo Colombo, in procinto di partire per il Portogallo, in cui questi si dichiara “civis Ianue”, cittadino di Genova. Sono decine, inoltre, gli atti notarili riguardanti Domenico Colombo, certamente il padre, benché si sia, ormai, riconosciuta la presenza di omonimi (ciò spiega, in parte, il motivo per cui, oggi, molte località liguri se ne contendano i natali). Senz’altro, l’Ammiraglio dimostra, per tutta la sua vita, una particolare vicinanza alla patria genovese. Mi limito a citare la lettera inviata nel 1502 ai Protettori del Banco di San Giorgio, in cui è contenuta la celebre frase: «Bien que el corpo ande acá, el coraçon está alí de continuo» (“Anche se il corpo è qui, il cuore è sempre lì, a Genova”). Lo stesso anno, il nostro scriveva al genovese Nicolò Oderico, ambasciatore presso i Re Cattolici, facendo riferimento a un altro genovese, Francisco de Riberol – Francesco di Rivarola -, affidandogli i propri scritti. Vi sono, altresì, le testimonianze di diversi autori coevi, tra cui il doge Battista Fregoso, morto nel 1504, che lo dice, nel suo “De dictis factisque memorabilibus”, edito postumo nel 1509, «Christophorus Columbus natione Genuensi». Il genovese Antonio Gallo gli dedica il suo De navigatione Columbi (1496-1498). Lo dicono genovese Bartolomeo Senarega, Agostino Giustiniani e lo stesso Francesco Guicciardini negli anni immediatamente posteriori. Perfino l’ammiraglio ottomano Piri Reis, nella sua mappa del 1513, lo cita come «un infedele di Genova». Insomma, le prove emergenti dai documenti coevi e dagli atti notarili confermano senza ambiguità le radici genovesi di Cristoforo Colombo. Benché l’ipotesi ebraica abbia un suo fascino, il suo inserimento in un contesto cristiano non può essere messo in dubbio. Intendiamoci: nulla vieta ch’egli avesse avuto qualche avo ebreo legato alla penisola iberica; il Mediterraneo di allora era un melting pot di culture, e i genovesi – come dice Braudel – potevi trovarli dappertutto. L’abbondante presenza di conversi nella penisola iberica (tra cui alcuni vescovi) è un dato di fatto. Ma non a Genova, dove, al contrario, la presenza ebraica era estremamente rara («Zudei non habitano qui», si legge in una lunga lettera inviata il 18 gennaio del 1460 dal governatore francese di Genova e dal consiglio degli Anziani a papa Pio II: sul tema uscirà a breve un mio studio). La mescolanza di DNA diversi non deve stupire. Ciò che stupisce è, piuttosto, la volontà di tornare a leggere la storia sulla base dell’appartenenza genetica, nascondendo una volontà di catalogazione razziale non più così latente. Si tratta di qualcosa che pensavamo d’aver abbandonato ma che periodicamente ritorna in auge. L’incedere a colpi di DNA è una pratica profondamente antistorica. La ricerca genetica non è in grado di fornire un’alternativa credibile alle evidenze documentarie. Meglio sarebbe, dunque, lasciare in pace Colombo e affidarsi a chi può legittimamente raccontare qualcosa del ruolo del navigatore nella storia del mondo.

    Antonio Musarra è Professore Associato di Storia medievale presso Sapienza – Università di Roma e studioso di Storia mediterranea.

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