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    ISRAELE

    Con “Frecce del Nord” inizia la seconda fase della guerra

    L’aggressione di Hezbollah
    Ha un nome la nuova operazione delle forze armate di Israele in Libano: “Frecce del Nord”. In realtà non è un’operazione isolata, ma l’inizio di una nuova fase della guerra che è iniziata a Gaza il 7 ottobre dell’anno scorso e al nord il giorno dopo, l’8 ottobre, quando Hezbollah, senza alcuna provocazione, iniziò a bombardare Israele coi suoi missili. All’inizio erano singoli razzi anticarro (RPG) sparati da armi a spalla, poi i bombardamenti aumentarono di intensità e di qualità, con missili sulle istallazioni militari e anche sui kibbutzim, i villaggi e le cittadine della Galilea, fino a lanci più penetranti che arrivarono anche su località maggiori come Tzfat. Dall’8 ottobre Hezbollah ha sparato più di 8.800 missili, ferendo 325 persone e uccidendone 48. Particolarmente efferato fu il bombardamento diretto, cioè mirato di un campo sportivo del villaggio druso di Majdal Shams che il 26 luglio scorso uccise dodici ragazzini morti mentre giocavano a calcio. Oltre 63.000 civili israeliani sono stati costretti ad abbandonare le loro case in seguito ai bombardamenti.

    La risposta puntuale della prima fase
    La tattica dell’esercito israeliano è stata in questi mesi quella delle risposte puntuali: ogni volta che c’era un bombardamento, Israele sparava a sua volta contro la fonte del fuoco, usando l’artiglieria e gli aerei, con l’intento di distruggere il pericolo. Vi sono stati anche numerosi abbattimenti mirati di comandanti terroristi di grado più o meno alto. Ma non sembrava possibile intervenire sulla minaccia complessiva del nord, perché la massa dell’esercito era impegnata a Gaza e perché la forza di Hezbollah è molto superiore a quella di Hamas: all’inizio della guerra si stimava che i terroristi libanesi avessero nei loro depositi fra 100 e 150 mila missili, di cui un numero notevole di lunga gettata e con guida elettronica che ne assicurava la precisione e molte migliaia di droni, tutti forniti dall’Iran. Inoltre Hezbollah ha parecchie decina di migliaia di militare inquadrati in reparti ben armati e addestrati, veterani di campagne importanti nella guerra civile siriana. Il terreno montuoso con valli molto strette e il controllo totale del territorio, su cui sono stati scavati numerosi bunker e tunnel offensivi, rendono difficile un’offensiva di terra, in particolare la manovra dei carri armati, come si era già visto nella seconda guerra del Libano del 2006. Vi era inoltre una forte pressione americana ed europea, in particolare della Francia, perché non si “estendesse” la guerra al Libano – come se quel che faceva Hezbollah non fosse già una guerra terroristica. Israele ha comunque sempre dichiarato di non poter sopportare i bombardamenti sul proprio territorio e lo svuotamento della popolazione del nord, tanto da aver inserito recentemente fra gli scopi ufficiali della guerra in corso la possibilità per loro di tornare indisturbati alle loro case.

    La nuova strategia
    Dopo averlo molto annunciato e aver ripetutamente ammonito Hezbollah a cessare la sua aggressione e a obbedire alla risoluzione dell’Onu del 2006 che imponeva non vi fossero forze armate in Libano fra il confine con Israele e il fiume Litani, 15 chilometri circa più al nord, salvo l’esercito regolare libanese e il corpo internazionale Unifil dell’Onu, Israele ha cambiato strategia ed è passato all’offensiva. Non però come tutti credevano e Hezbollah pure aveva pensato, facendo entrare immediatamente una forza di terra oltre il confine, in modo da ripulire la zona da cui prevalentemente agiscono i terroristi, esponendosi però alle trappole da loro predisposte. È stata un’operazione diversa, più complessa ed efficace. Prima, martedì e mercoledì scorso, vi è stata l’esplosione dei cercapersone e delle radio detenute dai quadri dell’organizzazione, con il doppio risultato di mettere fuori combattimento alcune migliaia di terroristi, in sostanza tutti i capi intermedi, disarticolandone il quadro di comando, e di disabilitare l’infrastruttura di comunicazione, che per un esercito moderno è come il sistema nervoso- Poi venerdì c’è stato il bombardamento di un edificio di Deyah, il quartiere fortezza di Hezbollah a Beirut, che ha colpito una riunione dei massimi comandanti dell’organizzazione, eliminandoli tutti e sconvolgendo ulteriormente la sua catena di comando con la distruzione di tutto lo stato maggiore terrorista. Infine negli ultimi due giorni è partita una campagna sistematica di distruzione dei luoghi dove Hezbollah schiera e conserva i suoi missili e i loro lanciatori, tanto al confine con Israele quanto più al nord, nella lunga valle della Beka. Sono stati colpiti finora quasi duemila obiettivi, a quanto pare, dimezzando gli strumenti offensivi del gruppo. Hezbollah è riuscito a sparare alcuni missili, anche a lunga gettata, ma non è stato in grado finora di provocare gravi danni: evidentemente le difficoltà interne di comunicazione, l’eliminazione dei comandanti, lo stato di shock dell’organizzazione è tale da rendere difficile una sua offensiva anche coi materiali che le restano. L’esercito israeliano del resto continua a colpire i missili e i depositi di armi che spesso sono nascosti dentro villaggi e case civili (dopo aver invitato insistentemente e con molti mezzi la popolazione civile a evacuarli).

    Come andrà avanti?
    È difficile dire come proseguirà “Frecce del Nord”. L’obiettivo minimo israeliano è costringere Hezbollah a ritirarsi dietro il fiume Litani, obbedendo alla risoluzione dell’Onu, e a abbandonare l’aggressione. Per questo potrebbero bastare in teoria i bombardamenti aerei. Ma è possibile che ciò non accada e che un’azione di terra si riveli necessaria per distruggere molto più a fondo il gruppo terrorista, sul modello di Gaza. L’incognita è l’Iran, grande protettore e in sostanza mandante di Hezbollah come di Hamas. Visto che i suoi calcoli strategici di sconfiggere lo stato ebraico col logorio di una guerra multifronte non funzionano, gli ayatollah accetteranno la sconfitta e indurranno i loro satelliti a cercare una via d’uscita, salvando almeno parte della loro organizzazione, o li getteranno completamente nella mischia, rischiando la loro distruzione totale? O addirittura, come si vociferava ieri, l’Iran entrerà direttamente in guerra? Su questo punto c’è dissenso, a quanto dicono i media, fra il nuovo presidente iraniano Masoud Pezeshkian, più disponibile a una de-escalation e la Guida Suprema Khatami che sarebbe più propenso a una guerra totale. Quel che è certo è che devono fare i conti con un Israele tutt’altro che esaurito e senza risorse, che conosce il fronte settentrionale molto meglio di quel che sapeva di Hamas un anno fa e ha pianificato da molto tempo la possibilità di uno scontro diretto con l’Iran, addestrandosi anche a distruggere il suo apparato nucleare. Tutti questo avviene in un momento in cui gli Stati Uniti sono ormai a meno di due mesi dalle elezioni e i candidati devono misurare bene il loro atteggiamento di fronte a un elettorato che è in grande maggioranza schierato dalla parte di Israele. Questo potrebbe essere un momento di svolta nella guerra.

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