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    ISRAELE

    Il missile degli Houti che ha colpito Israele e le sue conseguenze

    Il colpo degli Houti
    Domenica 15 settembre, verso le sei e mezza di mattina, un missile sparato dai ribelli islamisti Houti dello Yemen è caduto in una località del centro di Israele, a circa sei chilometri dal principale aeroporto civile del paese, quello intitolato a Ben Gurion, e a una ventina dal centro di Tel Aviv. Non è la prima volta che gli Houti sparano su Israele, pur non avendo nessun conflitto territoriale con esso e operando a 2000 chilometri di distanza (più della distanza fra Roma e Stoccolma). Spesso hanno mirato su Eilat, ma una volta sono già riusciti a colpire Tel Aviv, uccidendo una persona e ricevendo in risposta un duro bombardamento del loro porto principale. Hodeida. È probabile che una nuova rappresaglia di questo tipo sarà la risposta di Israele a questo nuovo missile.

    Ipersonico?
    L’attacco di ieri non ha provocato vittime e neppure danni significativi, ma rischia di essere un punto di svolta della guerra. In primo luogo c’è una novità tecnica, ancora da verificare, ma molto significativa. Gli Houti hanno rivendicato il colpo, affermando che il missile da loro sparato era “ipersonico” e specificando che il volo del proiettile era durata solo 11 minuti, a una velocità media dunque di 12,000 chilometri all’ora, ben oltre il livello semplicemente supersonico degli aerei militari, che raggiungono di solito il doppio della velocità del suono, cioè 2500 chilometri all’ora o poco più. In realtà la maggior parte dei grandi missili balistici, quelli cioè che sono indirizzati su una rotta oltre l’atmosfera dal lancio e che a un certo punto esauriscono la spinta dei motori procedendo per inerzia, raggiungono velocità analoghe. Decine di minuti sono il tempo di volo dei missili strategici fra Usa e Russia o fra Iran e Israele. Gli ipersonici, che sono un’arma nuova in via di sperimentazione, uniscono la velocità dei vecchi missili balistici alla manovrabilità e al volo radente dei vecchi missili da crociera, molto più lenti ma assai più difficili da intercettare per come volano. La Russia ha annunciato di averli usati in Ucraina, l’Iran dice di averli in produzione, gli Usa li stanno sperimentando, non risulta che Israele ne abbia, anche perché ha sempre preferito investire sugli aerei e sui sistemi antimissile che sui missili offensivi.

    Made in Iran (e forse in Russia)
    Se il proiettile degli Houti era davvero un ipersonico (ma loro hanno parlato di “missile balistico ipersonico”, che non è una definizione univoca), questo spiega una certa difficoltà dell’intercettazione denunciata dalle forze armate israeliane: c’è stato bisogno prima di un antimissile della stratosfera (Arrow) e poi dell’Iron Dome forse per i suoi frammenti; ma si vedono in rete foto di un cratere di impatto e danni a una scala mobile che fanno pensare a un’intercettazione solo parziale. Va detto che il missile non era ovviamente di produzione Houti, dato che lo Yemen non ha un sistema industriale né competenze aeronautiche sufficienti per questo, ma veniva dall’Iran, forse in collaborazione con la Russia: una novità devastante nei rapporti di forza non solo del Medio Oriente, ma di tutto in mondo, che mette soprattutto in questione l’acquiescenza dell’Occidente nei confronti dell’imperialismo iraniano, che a questo punto dispone di missili intercontinentali (ha appena messo in orbita il suo secondo satellite, il che implica un vettore capace di raggiungere qualunque punto sul globo), di missili ipersonici a lungo raggio molto difficili da bloccare ed è da tempo sulla soglia dell’armamento atomico. Tanto basta per minacciare seriamente tutta l’Europa e forse anche il continente americano. È essenziale dunque che anche l’Amministrazione Biden e l’Europa capiscano che la guerra dell’Iran contro Israele ha per obiettivo tutto l’Occidente, come quella della Russia contro l’Ucraina.

    Cambia la guerra?
    La svolta della guerra è anche resa probabile dagli sviluppi a Gaza, dove l’esercito israeliano ha annunciato di aver distrutto le forze organizzate di Hamas a Rafah. Ma Hamas ha ancora i rapiti che usa come un’arma contro Israele; e ha un numero comunque considerevole di terroristi dispersi fra la popolazione di tutta Gaza, che hanno le armi, i rifugi nei tunnel e l’addestramento per condurre una guerra prolungata di guerriglia. Ciò richiede comunque a Israele una vigilanza militare forte a Gaza, ma dovrebbe finalmente liberare le forze necessarie per affrontare la situazione in Libano, da dove Hezbollah continua a bombardare ogni giorno la Galilea con molte decine di missili. È possibile che Israele si decida a questo punto a cercare di ricacciare Hezbollah lontano dal confine con un’azione di terra. E però quest’azione, necessaria per riportare gli abitanti sfollati nel nord di Israele, sarebbe probabilmente contrastata da bombardamenti massicci dal Libano, dalla Siria e forse dall’Iran su tutta Israele, innalzando notevolmente il rischio per la popolazione civile e i danni sulle infrastrutture. D’altro canto la minaccia di Hezbollah è grave e permanente: non è interesse di Israele ignorarla fino al momento in cui converrà all’Iran rilanciare la guerra. Insomma, nonostante la stanchezza e la divisione della società israeliana, l’ostilità del mondo e gli interessi dell’amministrazione Usa, è molto probabile che il conflitto si riaccenda sui vari teatri (Libano, Yemen, Siria, forse l’Iran, territori amministrati dall’Autorità Palestinese), in attesa della scelta che fra due mesi gli americani faranno del nuovo presidente: un voto che sarà importantissimo anche per il Medio Oriente.

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