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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Parashà di Ki Tetzè: La mitzvà di non usare insieme lino e lana nei tessuti

    Sull’argomento di non usare lino e lana nei tessuti era stato scritto un articolo nella rivista Segulat Israel (n. 4) a cura di Moshè Netzer. Questa pagina è un riassunto dei punti principali di quell’articolo.
    Nella Torà vi sono due fonti che trattano la mitzvà di non usare insieme lino e lana nei tessuti; la prima è in Vaykrà (19:19) dove è scritto: “Osserverete i miei decreti, non devi incrociare i tuoi animali con altre specie, seminare il tuo campo con diverse specie di semi, né indossare vestiti con una mescolanza proibita di fibre”. La seconda fonte è in questa parashà (Devarìm,32:11) dove è scritto: “Non indossare sha’atnez, lana (di pecora) e lino insieme.” Nel versetto viene quindi spiegato che la mescolanza proibita è quella di fibre di lino e di lana.
    I commentatori hanno cercato di chiarire fino a quanto possibile le motivazioni della mitzvà. Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) scrive che la proibizione deriva dal fatto che era usanza dei sacerdoti idolatri usare vestimenti di lino e di lana (Guida dei Perplessi, III:37).
    Rav S.R. Hirsch (Amburgo, 1808-1888, Francoforte) in Horeb, nel capitolo dal titolo “Regarding the Species as Divine Order” scrive che l’uomo ha l’obbligo di rispettare l’ordine divino nella Creazione. Pertanto non si devono fare azioni che interferiscano in questo ordine. Pur affermando di non potere andare al di là di una conoscenza superficiale dell’argomento, egli suggerisce una classificazione delle cinque mitzvòt di rispettare l’ordine della Creazione. La prima è quella di non incrociare animali di specie diverse. La seconda è quella di non innestare alberi diversi o di mescolare le sementi. La terza è di non fare lavorare insieme animali di specie diverse (come arare con un bovino e con un asino). La quarta è di non coprirci o scaldarci con materiali tessili risultanti da combinazioni di lino e di lana. La quinta è quella di non cucinare carne nel latte.
    Chi indossa un vestito che include fibre di lino e di lana trasgredisce in ogni momento la mitzvà della Torà. Pertanto non bisogna indossare abiti sui quali si abbia il dubbio che includano misture di fibre di lino e lana neppure temporaneamente. È permesso però provare un vestito in un negozio se non è certo che contenga misture di lino e di lana. Misture di lino e di lana possono essere anche nelle fodere e non solo nel tessuto o nel cucito. La proibizione non ha una misura minima per cui anche un filo di lana in un abito di lino (o viceversa) è sufficiente a proibire di indossare l’abito.
    La mitzvà di non combinare fibre di lino e di lana riguarda solamente la lana di pecora e non la lana di cammello, coniglio, lepre ecc. Tessuti di lana e cotone sono permessi. Dal momento che un solo filo di lino in un abito di lana costituisce sha’atnez, bisogna fare attenzione quando si danno i vestiti in tintoria o al sarto che non vengano usati fili di lino per attaccare le etichette indicanti il numero o il nome del cliente. È raccontato che quando R. Shim’òn bar Yochày (II sec. E.V.) ritirò un abito da un tintore non ebreo, lo fece verificare da dieci sarti per essere certo che non vi fosse stato cucito un filo proibito (Talmùd Yerushalmì, Kilayim, 9:1).
    Alla categoria degli oggetti di vestiario soggetti a combinazioni di fibre di lino e di lana appartengono anche coperte, cappelli, calze, pantofole, stivali e guanti. Il Maimonide afferma che non bisogna usare neppure tovaglie, fazzoletti, asciugamani, o anche vestimenti per gli oggetti del bet ha-kenèsset con misture di lino e di lana perché con essi ci si può scaldare le mani (Mishnè Torà, Hilkhòt Kilaim, 10:24).
    Così come non si devono indossare abiti che contengono misture di lino e di lana, non si devono fare indossare abiti di questo tipo ad altri ebrei, neppure a dei lattanti e così pure usare coperte o lenzuola di questo genere per delle culle. Un ebreo non deve cucire vestiti che contengono misture di lino e di lana se esiste la possibilità che questi abiti vengano venduti ad altri ebrei; e anche vendere abiti a dei non ebrei se esiste la possibilità che costoro li vendano a degli ebrei. I fabbricanti ebrei di tessuti o di abiti di questo genere incorrono nella trasgressione di “porre un inciampo davanti a un cieco” se con questo contribuiscono a far commettere una trasgressione ad un ebreo.
    R. Chayim Kanievsky (Pinsk, 1928-2022, Bene Berak) in Derekh Emunà (note 124-5) scrive che quando si acquistano oggetti di vestiario non ci si può fidare di venditori o di sarti, sia per via di conflitti di interesse sia per il fatto che anche i sarti spesso non sono in grado di distinguere tra i numerosi tipi di fibre. L’etichetta non è una garanzia che un capo di vestiario non includa fibre di lino e di lana in quanto elenca solo le fibre del tessuto e non delle imbottiture e dei fili usati per la cucitura. C’è chi, diversi anni dopo aver comprato un vestito, ha scoperto che i colletti delle giacche e i bordi delle tasche erano rinforzati con tessuti di lino. Inoltre, le leggi statali non richiedono l’indicazione delle fibre contenute in quantità molto piccole e l’indicazione sull’etichetta è spesso imprecisa. Pertanto è importante fare verificare il vestiti dagli esperti nelle comunità.

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