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    Mondo

    Il nuovo presidente iraniano vuole buone relazioni con tutti tranne che con Israele

    La vittoria in Iran del “moderato” Pezeshkian non cambierà la sostanza della Repubblica islamica

    Massud Pezeshkian sarà il nuovo presidente dell’Iran. Succede a Ebrahim Raisi, morto in un incidente aereo lo scorso maggio. Classe 1954, di origini azere e curde cardiochirurgo, già ministro della sanità dal 2001 al 2005 e a lungo deputato della corrente riformista, Pezeshkian ha ottenuto il 53%, corrispondente a circa 16,3 milioni di voti, mentre il candidato ultraconservatore Saeed Jalili è stato scelto da 13,5 milioni di persone. L’affluenza è stata del 50% circa al ballottaggio e del 40% al primo turno: i componenti della dissidenza iraniana all’estero avevano invitato i connazionali a disertare le urne e ritengono questi dati gonfiati dal regime; si tratta comunque di numeri esigui, che testimoniano il basso livello di fiducia nei confronti del regime da parte di molti cittadini. Nel Paese infatti c’è grande malcontento dopo tanti anni di proteste violentemente represse, culminate tra il 2022 e il 2023 con le manifestazioni seguite alla morte di Mahsa Amini, arrestata dalla polizia morale di Teheran e poi uccisa per essersi opposta all’hijab obbligatorio.
    Quanto potrà influire l’appartenenza di Pezeshkian all’ala riformista? Anzitutto, i poteri del presidente sono assai limitati: questi come capo del governo è responsabile di applicare gli indirizzi politici di massima stabiliti dalla Guida Suprema Alì Khamenei, capo dello Stato. Inoltre, l’azione dell’esecutivo verrà probabilmente limitata da un parlamento nelle mani dei conservatori e dei radicali. Pezeshkian ha annunciato un approccio più dialogante del suo predecessore: potrà tentare di recuperare l’accordo del 2015 sul nucleare e aprirsi maggiormente all’Occidente (con l’obiettivo di alleviare le sanzioni); si ipotizza una minore censura interna sulla libertà di manifestazione ed espressione; è possibile maggiore tolleranza sul velo, che rimarrà comunque obbligatorio. Tuttavia, il recente precedente “moderato” non lascia ben sperare: Hassan Rouhani durante il suo mandato (2013-2021) ha proposto un volto diverso del Paese, ma non ne ha modificato la sostanza, come hanno dimostrato il record di esecuzioni di quegli anni, i progressi nella costruzione dell’atomica, l’espansione egemonica nella regione. Le prime dichiarazioni di Pezeshkian dopo l’elezione sono state emblematiche: cercherà di “avere relazioni amichevoli con tutti i Paesi, tranne Israele”. Non a caso, tra i primi a congratularsi con lui vi sono stati Vladimir Putin, Xi Jinping, il presidente siriano Bashar al Assad. L’intero Medio Oriente (e non solo) devono dunque rimanere vigili sulla teocrazia iraniana, che resta una minaccia concreta per la stabilità regionale e globale, anche se con un volto apparentemente meno aggressivo.

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