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    ISRAELE

    Un Sefer Torà in ricordo del rabbino Amichai Weitzen, eroe del 7 ottobre

    Il 7 ottobre il rabbino Amichai Weitzen, 33 anni, padre di cinque figli, è stato ucciso dai terroristi di Hamas nel kibbutz di Kerem Shalom. Per onorare la sua memoria la Fondazione americana Am Yisrael Chai & The Dream Raffle ha donato un Sefer Torà alla Yeshiva Chalutzei Dror di Naveh, a pochi chilometri da Gaza. Rav Amichai, come lo chiamavano i suoi studenti, faceva parte del gruppo di volontari della sicurezza del kibbutz, ha perso la vita dopo aver combattuto strenuamente per sei lunghissime ore con il collega e amico fraterno Yedidya Raziel. “Gli allievi della Yeshiva, che dividono la loro giornata tra i lavori agricoli e le lezioni di Torà, non avevano un Sefer di loro proprietà – ha spiegato Shmuel Sackett, fondatore e direttore della Fondazione – Ho pensato che con il dono di questo Sefer avrebbero ricordato il loro Maestro ad ogni lettura del nostro testo sacro. Ho partecipato a molte dediche di Sifrè Torà, in nessun’altra occasione ho percepito una partecipazione corale così sentita e un’energia straordinaria. Uno dei ragazzi mi ha detto che quando ballava con la Torà gli sembrava di ballare con il suo amato rav Amichai. Ma l’emozione più grande l’ho provata nel momento in cui ho posto il Sefer nelle braccia del figlio di rav Amichai e lui ha alzato gli oggi al cielo”.

    Rav Yoseph Weitzen, il papà di Amichai e rabbino di Psagot, ha aggiunto: “Possa HaShem darci la forza, il coraggio e la capacità di continuare a fare cose buone per la Sua nazione. Con amore per Israele”.
    Molti sono i rabbini impegnati al sud d’Israele in questi mesi di guerra. Tra loro rav Matt Schneeweiss, guida spirituale del kibbutz TiratTzvi, racconta: “Mi sono arruolato come soldato da combattimento, sono stato nei carri armati per 15 anni; all’inizio della guerra mi hanno chiesto di sostituire il rabbino che ricopriva il ruolo e oggi sono il rabbino del mio battaglione. Abbiamo funzioni operative, soprattutto nelle situazioni più difficili, in cui siamo chiamati ad assistere i feriti. Il nostro esercito deve sapere come prendersi cura dei suoi feriti. C’è poi un altro aspetto che riguarda la dimensione più spirituale. Essere un rabbino di un battaglione in guerra significa essenzialmente essere un rabbino di una comunità. Qui tutto avviene in modo veloce e più intenso: in questa comunità, ad esempio, molti dei soldati sono diventati padri dall’inizio della guerra, si sono create nuove amicizie, abbiamo celebrato matrimoni, alcuni soldati hanno deciso di diventare più osservanti. Viviamo una situazione sociale complessa, le esperienze che condividiamo in questi giorni lasceranno un segno profondo in ognuno di noi e ci accompagneranno in futuro. In uno dei messaggi che ho inviato prima di Shabbat ho parlato del sogno di Giacobbe, in cui vide gli angeli salire e scendere e dell’apertura degli occhi. La guerra all’improvviso ci permette di vedere tanti angeli in mezzo a noi, persone con forza d’animo e coraggio”.

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