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    ROMA EBRAICA

    Oltre “Yafuzu” c’è di più

    Yafuzu, un bellissimo canto che a Roma si cantava solo la sera di Simchath Torà, all’uscita di Kippur durante la trasmissione radiofonica e in tempi moderni introdotto a Neilà, è uno dei canti più amati dagli ebrei romani, ma oggi “inflazionato”, tanto che viene cantato in diverse occasioni a volte in modo inappropriato. Questo inno è composto da quattro strofe, le cui lettere iniziali formano l’acrostico Joav, da cui si presume che sia opera di un certo Joav, autore sconosciuto.Compare per la prima volta in un formulario sefardita del 1584. Il componimento è composto fondamentalmente dalla perifrasi di un brano della Torà, Numeri, capitolo 10, verso 35 e dal Salmo 132, versi 8-10. Il significato del ritornello è:Si disperdano i tuoi nemici quando l’arca si muove e quando essa si posa, giubili il tuo popolo cantando i salmi”.

    Ma la liturgia ebraica romana offre una moltitudine di canti meravigliosi che non hanno nulla da invidiare a Yafuzu e molte volte “sottovalutati” dalla maggioranza degli ebrei romani. Da qui l’idea dell’iniziativa che si terrà la sera di lunedì 24 giugno “La musica è cambiata. Oltre Yafuzu – Viaggio nei canti della sinagoga di Roma”, a cui parteciperanno anche Rav Alberto Funaro, manhigdel Tempio Maggiore, e il maestro Claudio Di Segni, direttore del coro di cui quest’anno ricorrono i 120 anni dalla fondazione. Insieme proporremo un’analisi su questo tema e alcune performance canore che gli spettatori potranno apprezzare.

    I brani selezionati sono presi dalle tefilloth del sabato, delle varie feste e da varie occasioni gioiose o meno dell’anno. I canti del Tempio Maggiore non sono tutti di rito italiano: molti provengono anche dalla tradizione sefardita. Quando nel 1904 fu inaugurata la grande sinagoga, molto probabilmente si dovette trovare un compromesso tra le cinque scole, alcune di rito italiano, altre di rito spagnolo, per cui il minhag attuale è la risultante di questo “accordo”. Ad esempio, il niggun(canto) della parashà, le selichoth e le “pizzarelle” che cantiamo a Pesach sono di rito sefardita.

    I brani che presentiamo nella serata sono: Veshamerù”, un brano tratto dalla Torah che si recita con questo canto nella preghiera di Arvith il venerdi sera. Shir hamaaloth, un salmo di David come si cantava il sabato pomeriggio. Yechayenu miyomaim, detto “le pizzarelle”, canto che si recita alla fine del musaf di Pesach, che prende il nome dal dolce tipico di questa festa e il bravo cantore ci deve mettere più “miele” possibile. “Lo amuth”, brano tratto dai salmi di David che si recita nella preghiera della prima sera di Pesach e portato a Roma dal Rabbino David Prato. El Melech e Ben Ishay” due akkafoth che si recitano la sera di Simchath Torà. Kol Habechor”, che si recita nella tefillà di arvith dell’ultimo giorno di Pesach, Shavuoth e Sukkoth. “Ad bekol shofar” che si canta prima del suono dello shofar nei due giorni di RoshHashanà. Hochila piyut (composizione poetica) che si recita nel musaf di Rosh Hashanà e Kippur. Elokim Hashivenu” brano che si recita ne cambio del sefer a Rosh Hashanà e Kippur. Mizmor ledavid mi yagur” salmo di David che si recita nella commemorazione dei defunti. Eshtechà” brano tratto dai salmi di David che si canta durante la cerimonia del matrimonio.

    Questa selezione è solo una parte del ricco patrimonio musicale ebraico romano ed è possibile approfondirne origini e composizioni musicali attraverso le pubblicazioni del Prof. Elio Piattelli e del prof. Pasquale Troìa, coadiuvato dal rabbino Alberto Funaro e dal maestro Claudio Di Segni.

    Un’ultima nota sul ruolo fondamentale del Chazan. Questi non è un “cantante” che si esibisce invece che in un teatro in una sinagoga. Il chazan deve comprendere il significato di quello che sta recitando e trasmettere al pubblico quel pathos che si crea nel momento in cui si recita la preghiera.Il moré Cesare Eliseo, grande cantore del tempio maggiore, diceva:Mentre reciti la tefillà, quando senti il brivido dietro la schiena, vuol dire che stai pregando e non cantando!”. Un grande insegnamento per i tanti giovani che stiamo formando per continuare questa preziosa e meravigliosa tradizione della liturgia romana.

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