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    ISRAELE

    Che cosa significa oggi riconoscere la “Palestina”

    Bandiere
    A Palazzo d’Accursio, sede del Comune di Bologna, il sindaco Matteo Lepore (Pd) ha appeso personalmente la bandiera palestinese. Lo stesso è accaduto a Pesaro per decisione di Matteo Ricci (Pd); anche il sindaco di Milano Giuseppe Sala (sostenuto da tutti i partiti di sinistra) ha detto di avere intenzione di compiere lo stesso gesto dopo un passaggio in consiglio comunale. Le bandiere palestinesi sono state sventolate nell’emiciclo di Montecitorio durante un dibattito da deputati del Movimento 5 Stelle ed esposte all’esterno da un ex deputato dei Verdi. All’Università di Torino, al centro delle polemiche per le sue posizioni sul conflitto mediorientale, non ci sono solo le bandiere e i murales degli occupanti. Una bandiera palestinese è appesa anche a Palazzo Campana, sede del dipartimento di matematica. Che tutto ciò sia esplicitamente proibito dalla legge italiana (art. 8 del DPR 121/2000) evidentemente non interessa a nessuno.

    Perché questa epidemia?
    Che cosa significa questa moda di omaggiare la “Palestina” in una maniera che non è stata applicata né per il Tibet e gli Uiguri e Hong King oppressi dalla Cina, né per Cipro e i curdi minacciati dalla Turchia, né per Ucraina e Georgia sotto il tallone della Russia, né per tutti gli altri conflitti in corso nel mondo? Spiegare le cause di questa epidemia è complesso, ma i motivi e i fini dei responsabili sono invece semplici. Come ha detto Matteo Ricci: “Basta massacri, l’Italia riconosca lo Stato palestinese!” i massacri che si vogliono far finire non sono certo gli omicidi a sangue freddo non provocati di 1200 persone del 7 ottobre scorso, col contorno di centinaia di stupri e di rapiti. Sono un modo insensato ma diffuso di condannare l’autodifesa israeliana, che altre volte viene addirittura definita dalle stesse fonti “genocidio”, rovesciando orribilmente sugli ebrei il nome del reato coniato per descrivere la Shoah. Come si esprime in contorto politichese Matteo Lepore “per aprire alla possibilità di nuovo di avere due Stati, come in tanti spesso affermiamo, occorre avere anche due popoli e questo per quello che i palestinesi stanno subendo rischia di non potere più accadere”.

    I due gruppi nemici di Israele
    Bisogna prendere atto insomma che ci sono due gruppi di nemici di Israele: i “rivoluzionari” o espliciti filoterroristi che rivendicano il 7 ottobre e il progetto di eliminare lo Stato di Israele e i suoi abitanti, per esempio con lo slogan “Dal fiume al mare…”, come gli occupanti delle università e i membri dei gruppuscoli di estrema sinistra. Poi vi sono i “moderati” di tutti i partiti, ma soprattutto di quelli di sinistra, che vogliono “il riconoscimento della Palestina” perché, dicono, questa è la premessa ai “due stati”. Tale è del resto ormai la posizione ufficiale del Pd. C’è qualcuno fra loro che ha una fantasia sufficientemente sfrenata, o una faccia tosta così incurante dei fatti da sostenere che “riconoscere la Palestina” dopo il massacro guidato da Hamas sarebbe “una sconfitta per Hamas”.

    Le obiezioni
    Al riconoscimento ci sono ovvie obiezioni: il preteso Stato di Palestina non ha confini stabiliti, non esercita una sovranità incondizionata su alcun territorio, non ha moneta sua, non è autosufficiente dal punto di vista fiscale, energetico, dell’acqua, dei trasporti con l’esterno; il trattato costitutivo che ha firmato per potersi costituire (Oslo) esclude la sua statualità; non è una democrazia, non tiene neanche elezioni fittizie da vent’anni, non conosce la separazione dei poteri né i diritti della difesa, esercita largamente la tortura e l’omicidio dei dissidenti, ha una politica razzista che esclude dal suo territorio tutti gli ebrei, è completamente corrotto, finanzia ufficialmente il terrorismo, non accetta l’esistenza del suo maggior vicino, Israele, con cui si considera in guerra, anzi, che vuole completamente cancellare; non ha mai accettato di discutere le proposte di pace che le sono state sottoposte. Insomma non è uno stato e tanto meno è un’organizzazione rispettosa dei diritti umani e della pace.

    Dopo il riconoscimento
    Ma questi argomenti evidentemente non bastano ai sostenitori “moderati”. Proviamo allora a prenderli alla lettera. Che cosa succede se uno stato riconosce la “Palestina”, come hanno fatto Spagna, Irlanda e Norvegia? Questo riconoscimento che cosa comporta? Dei confini? Quali? Quelli attuali controllati dall’ANP, senza cioè Gaza e le zone A e B del trattato di Oslo, inclusa la città vecchia di Gerusalemme? Quelle che fino al ’67 erano controllate da Giordania e Egitto (la vecchia “linea verde”)? Quelle rivendicate da tutti i movimenti palestinisti, non solo da Hamas, cioè “dal fiume al mare”? E la capitale dov’è, a Ramallah, a “Gerusalemme Est” (qualunque cosa ciò voglia dire)? A Gaza? Il governo è quello attuale nominato da Muhammed Abbas? O uno di “unità nazionale” con Hamas? E che succede se Israele sta ai trattati e non riconosce l’Autorità Palestinese come stato, ma continua a combattere il terrorismo anche sul “suo” territorio? Vengono gli spagnoli o gli irlandesi a fermare gli attentatori suicidi? Mistero. La verità è che il riconoscimento non cambia niente, è solo propaganda.

    Due stati?
    Ma forse bisogna prendere sul serio la storia dei due stati. Il riconoscimento, dicono, serve a realizzare questa formula. Peccato che una lunga esperienza mostri che la formula non funziona. Hamas non li vuole e lo dice apertamente. Fatah, cioè l’Autorità Palestinese, non li vuole nemmeno, ma invece di dirlo chiaro ha sempre sabotato le trattative, si è sempre rifiutata di indicare anche solo un fazzoletto di terra che è disposta a lasciare allo Stato degli ebrei. Infatti si rifiutano di dire “due stati per due popoli”, perché nei più generosi l’idea è di avere una “Palestina 1” nei limiti della linea verde e una “Palestina 2” dove ora c’è Israele, perché condizione fondamentale dei due stati, come la intendono loro è che Israele accetti l’immigrazione selvaggia di tutti quanti dicono di essere “rifugiati palestinesi”, tanti da avere la maggioranza e da distruggere Israele senza colpo sparare. Sono pochi, oggi, gli israeliani così ingenui da cadere nella trappola.

    La ragione del fallimento
    Insomma se le trattative fra Israele e Autorità Palestinese sono sempre fallite con governi israeliani di destra, centro e sinistra, con presidenti da Clinton a Bush a Obama a Trump a Biden, la ragione è molto semplice: che i palestinisti non sono assolutamente disposti a convivere con uno Stato ebraico. E certamente il riconoscimento spagnolo o bolognese non fa loro cambiare idea, ma eventualmente li rafforza nelle loro convinzioni che “con l’anima e col sangue, la Palestina sarà libera”, cioè Israele sarà distrutta. I “moderati” credono di lavorare per una politica diversa dai filoterroristi, ma semplicemente sono più ipocriti. O molto meno lucidi.

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