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    La potenza di Israele unica possibilità per fermare il terrorismo palestinese

    Oltre a togliere dal gioco un capo terrorista pericolosissimo e spedire un messaggio preciso ai suoi colleghi sparsi fra Libano, Siria, Gaza, Yemen fino all’Iran, l’azione realizzata dalle forze armate israeliane martedì scorso eliminando Baha Abu Al Atta, comandante militare della Jihad Islamica, ha ottenuto un risultato politico importante, dividendo per la prima volta con grande chiarezza le forze terroriste di Gaza. La Jihad islamica, direttamente dipendente dall’Iran, è la seconda per numero e per potenza fra esse. La prima, come tutti sanno, è Hamas, che dipende invece almeno sul piano economico dal Qatar, che a sua volta è stretto alleato della Turchia. Fra Hamas e Jihad Islamica, sotto l’obbligatoria facciata della solidarietà palestinista, non corre buon sangue, come del resto accade fra Hamas e Fatah. Quel che era sempre successo finora è che contro Israele tutte le fazioni terroriste si unissero. Invece Hamas, timorosa di una reazione israeliana che potesse eliminare i suoi capi e distruggere il suo dominio sulla Striscia, questa volta non solo non ha partecipato al bombardamento contro città e villaggi civili in Israele lanciato da Jihad, ma abbia anche diffuso l’ordine di sospendere per questa settimana le manifestazioni del venerdì che da un anno tentano di sfondare il confine con Israele. Non si tratta naturalmente di un’improvvisa conversione al pacifismo da parte di Hamas, ma di un calcolo realistico sui danni possibili. In una parola, per chi ne dubitava, della deterrenza israeliana, la sola condizione per il mantenimento della calma anche in quel pericoloso focolaio terrorista.

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