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    Il “Dopoguerra” raccontato dagli italiani, di Avagliano e Palmieri

    “Dopoguerra – gli italiani fra speranze e disillusioni (1945-1947)” è il nuovo libro di Mario Avagliano e Marco Palmieriedito “Il Mulino”, recentemente presentato presso la Fondazione Museo della Shoah.

     Il periodo tra la sconfitta del nazifascismo e l’approvazione di una Costituzione viene visto come un momento di “stallo” per il popolo italiano. Un paese dove subito dopo la liberazione viene descritto come distrutto, lasciato a sé con giustizie “fai da te” contro quei fascisti che iniziavano a nascondersi, a scappare via.

    “Ma che cosa speravano dunque tutti? Che il giorno dopo la Liberazione le cose fossero già sistemate a dovere e prendessero il loro corso normale?”, scriveva l’8 maggio 1945 la partigiana Andreina Zaninetti Libano

    Il capitolo risulta estremamente interessante, ma è davvero difficile sceglierne solo uno, ed è  intitolato “Pietà l’è morta”: parla di ciò che accadde il 29 aprile 1945 a Piazzale Loreto. Un camion di partigiani che scaricano sul selciato i corpi senza vita di Benito Mussolini, Claretta Petacci e altri sedici gerarchi fascisti. Tramite delle trascrizioni di alcuni cittadini, come lettere e racconti di diario, il lettore viene accompagnato per scoprire ciò che successe veramente quel giorno. Chi sputava e calpestava i corpi, mentre i pompieri cercavano di allontanare la folla con l’ausilio degli idranti ma senza successo.

    Tutto il libro percorre una linea guida composta dai numerosi documenti che aiutano a capire come le persone hanno ripreso a vivere nella loro quotidianità, come hanno affrontato quei due anni di ricostruzione del proprio paese ma soprattutto delle loro vite dove nulla faceva più la differenza. Dopo le atroci sofferenze viste o subìte, le persone rimaste non vivevano, ma sopravvivevano. La diseguaglianza tra nord e sud era sempre più forte, e la fame si faceva sentire ovunque.

    “Amore mio qui scoppia il dopoguerra. Speriamo che duri poco”, scriveva Suso Cecchi d’Amicoil 25 maggio 1946. Tutti sapevano che con la liberazione non sarebbe finito tutto in uno schiocco di dita. Troppa strada era da fare.

    Le case degli italiani erano distrutte dai bombardamenti e quelle rimaste in piedi non avevano la cucina o il bagno, non funzionavano gli impianti. Molti di loro si ritrovarono a vivere come degli sfollati. Molti bambini denutriti e quasi nudi, come si racconta nel primo capitolo, lasciarono i propri genitori per essere accolti “da famiglie contadine del Reggiano, del Modenese, del Bolognese. Lì vennero rivestiti, mandati a scuola, curati”, come è raccontato da Miriam Mafai. Questa è solo una delle tante testimonianze che trovano risalto nel saggio di Avagliano e Palmieri.

    Il libro tratta con molta cura la situazione dei deportati con la loro difficile reintegrazione nella società, ma anche il quadro politico dell’epoca dove nasce la Repubblica e l’Italia torna a respirare una boccata d’aria pulita tra Bartali, Miss Italia e il boom economico di personaggi come Enzo Ferrari.

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