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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Parashà di Sheminì: L’importanza delle leggi alimentari

    In questa parashà vengono specificati gli animali kashèr e quelli che non lo sono. Il testo si conclude con queste parole: “Questa è la legge concernente i quadrupedi, gli uccelli, ogni essere vivente che si muove nelle acque e ogni essere che striscia sulla terra, affinché sappiate distinguere ciò che è impuro da ciò che è puro, tra l’animale che si può mangiare da quello che non si deve mangiare” (Vaykrà, 11: 42-47).
    ​I maestri nel Midràsh Sifrà (173) osservano: (Perché è scritto) “per distinguere ciò che è impuro e ciò che è puro”: non dovrebbe essere detto “tra la mucca e l’asino”?. Si, ma (le loro differenze) non sono già spiegate (nella Torà)? Qual è allora l’intento (delle parole) “tra l’impuro e il puro”? (La risposta è) tra ciò che è impuro e puro per te: tra la shechità (che ha tagliato) la maggior parte della trachea (dopo la shechità dell’esofago, nel qual caso l’animale è kashèr), e la shechità della (sola) metà della trachea (dopo la shechità dell’esofago, nel qual caso l’animale è una nevelà e quindi non è kashèr). E in cosa consiste questa differenza? Nello spessore di un capello.
    ​R. Meir Leibush Wisser (Ucraina, 1809-1879) detto Malbim dalle sue iniziali, commenta che l’espressione “distinguere” viene usata quando è necessario distinguere tra due cose che sono uguali, e la sola differenza è, per esempio, che uno è kòdesh (sacro) e l‘altro chol (profano). Per cose che sono totalmente differenti, come un asino e una mucca, non è necessario parlare di distinzione. Questo è il motivo per cui i Maestri affermano che la Torà intende distinguere tra due animali uguali: all’uno è stata fatta una shechità secondo le regole; all’altro invece no, per la differenza minima di un capello. ​
    ​Questo passo midrashico viene citato da r. Moshè Chayim Luzzatto (Padova, 1707-1746, Acco) nella sua opera morale Mesillàt Yesharîm (La salita degli uomini retti). Nel capitolo intitolato “I dettagli della nettezza”, nel quale spiega l’importanza di essere totalmente puliti dalle trasgressioni, egli scrive:”Sotto questo aspetto i cibi proibiti sono peggiori di tutte le altre proibizioni perché entrano nel corpo della persona e diventano carne della sua carne”. La differenza di un capello tra un animale proibito e uno permesso “mostra quanto sia grande la forza delle mitzvòt per cui lo spessore di un capello costituisce la differenza tra impurità e purità”.
    ​Sullo stesso argomento R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p.74) osserva che nella Torà si parla di preghiera solo in un versetto (Devarîm, 11:13) mentre vi sono molti capitoli che trattano le leggi alimentari. Egli scrive che per l’uomo è più facile pregare che astenersi da del cibo che lo attrae. L’uomo è pronto a servire Dio in modo spirituale ma risente ogni interferenza nelle sue abitudini alimentari, o nel modo in cui soddisfa i sui desideri fisici. Tuttavia la Torà insegna che è impossibile santificare lo spirito senza disciplinare il corpo. Egli aggiunge che la Torà non rigetta il corpo. Il corpo è parte dell’essere umano e cosî pure lo spirito. Ma il corpo non dev’essere quello di un selvaggio. Dev’essere santificato ed elevato.

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