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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Parashà di Terumà: Da Sion uscirà la Torà e da Gerusalemme la parola dell’Eterno

    R. Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910-2012, Gerusalemme) nell’opera Divrè Aggadà (p. 183), in una derashà intitolata “Shte Mataròt ba-Mishkàn (Due obiettivi nel Mishkàn), cita il Midràsh (Tanchumà, Terumà, 8) dove i maestri citano il versetto “E mi costruiranno un Mikdàsh e risiederò in mezzo a loro” (Shemòt, 28:8) e affermano: “Affinché tutte le nazioni sappiano che l’affare del vitello (d’oro) è stato espiato; pertanto (il Mishkàn) è chiamato Mishkàn ha-‘edùt (tabernacolo della testimonianza), perché è una testimonianza a tutti i viventi che il Santo Benedetto risiede nel vostro Mikdàsh”.
    La costruzione del Mishkàn aveva due obiettivi: uno esterno, per elevare l’onore di Israele agli occhi delle nazioni del mondo. Poiché videro il popolo d’Israele danzare attorno al vitello e prostrarsi a un dio fatto d’oro, essi pensarono che la Presenza divina si fosse allontanata da Israele. A tale fine vi fu il Mishkàn come testimonianza a tutto il mondo.
    Il secondo obiettivo era interno. Era quello di avere un luogo dal quale la collettività d’Israele potesse trarre kedushà e spiritualità. Infatti l’Eterno disse a Moshè: “Là mi manifesterò a te. Parlerò con te al di sopra del coperchio […] tutto quello che ti comanderò per i figli d’Israele” (ibid., 25:22). Tutto il popolo d’Israele si radunava attorno al Mishkàn e da lì traeva spiritualità, Torà e mitzvòt.
    Il Santo Benedetto non attese l’entrata nella terra di Canaan per dare la Torà al popolo d’Israele. E per quale motivo la Torà e le mitzvòt furono date nel deserto, in terra di nessuno? “Per insegnare che le parole della Torà sono liberamente accessibili a tutti coloro che le vogliono studiare” (Midràsh Tanchumà, Vayakhèl, 8). E questo per far sapere che la Torà appartiene a tutto il mondo […]. In modo simile il Santo Benedetto non attese che fosse costruito il Bet ha-Mikdàsh (a Gerusalemme), e pose le basi del Mikdàsh già nel deserto. Questo perché anche il Mikdàsh non appartiene a un luogo definito, ma è una luce per i popoli, come disse il navì (profeta) Yesha’yahu (Isaia, 2:3): “Molti popoli vi accorreranno, e diranno: Venite, saliamo al monte dell’Eterno, alla casa del Dio di Ya’akòv; Egli ci ammaestrerà intorno alle Sue vie, e noi cammineremo per i Suoi sentieri. Poiché da Sion uscirà la legge, e da Gerusalemme la parola dell’Eterno”. Il Mishkàn nel deserto proclamava che la kedushà è liberamente accessibile a tutti.
    Ed anche più tardi quando il Bet ha-Mikdàsh fu costruito a Gerusalemme da re Shelomò, non fu a caso che egli festeggiò l’inaugurazione del Mikdàsh proprio durante la festa di Sukkòt. In quei giorni infatti il popolo d’Israele portava come offerte settanta torelli come espiazione per le settanta nazioni del mondo (T.B., Sukkà, 55b). E così pregò il re Shelomò dopo il completamento della costruzione del Bet ha-Mikdàsh (I Melakhìm, 8: 39-42): “Ogni preghiera, ogni supplica che Ti sarà rivolta da un individuo o dall’intero Tuo popolo d’Israele […] Tu esaudiscila dal cielo, dal luogo della Tua dimora […]. Anche lo straniero, che non è del Tuo popolo d’Israele, quando verrà da un paese lontano a motivo del Tuo nome, perché si udrà parlare del Tuo gran nome, della Tua mano potente e del Tuo braccio disteso, quando verrà a pregarti in questa casa, Tu esaudiscilo dal cielo, dal luogo della Tua dimora, e concedi a questo straniero tutto quello che Ti domanderà, affinché tutti i popoli della terra conoscano il Tuo nome per temerTi, come fa il Tuo popolo d’Israele e sappiano che il Tuo nome è invocato su questa casa che io ho costruita!”.

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