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    Antiebraismo e antisemitismo nella storia: forme vecchie e nuove

    A partire dal periodo tardo-antico, si possono distinguere due grandi fasi nella lunga storia dell’ostilità verso gli ebrei, non necessariamente distinte. Una prima fase è caratterizzata prevalentemente da una ostilità di carattere squisitamente religioso; in seguito, l’elemento religioso (che pure resta sottotraccia) è in parte sostituito da un approccio di carattere razziale.
    L’affermazione del cristianesimo nel mondo romano, agli inizi del IV secolo, segna un punto di non ritorno. La ragione è chiara: i seguaci di una religione che si apprestava a diventare maggioritaria e a sostituire i culti pagani non potevano tollerare l’esistenza di un piccolo gruppo etnico-religioso che di fatto negava le basi sulle quali poggiava la loro fede. Inizialmente, i seguaci di Gesù di Nazareth si erano identificati con il giudaismo; il mondo ebraico, tuttavia, si era rivelato impermeabile nei confronti di costoro, e piuttosto presto le sorti di ebrei e cristiani si erano divise. Da una parte, gli ebrei non potevano assolutamente concepire che il Messia potesse essere il “figlio di Dio”; dall’altra, i cristiani (che avevano rapidamente rigettato una gran parte dei precetti ebraici, dalla circoncisione alla kasherut) vedevano negli ebrei una minaccia. Se gli ebrei avessero avuto ragione, tutto l’impianto dottrinale del Cristianesimo sarebbe stato messo in discussione. Oltre a ciò, gli ebrei rappresentavano un ostacolo alla conversione dei pagani, dato che l’elemento caratterizzante sia per il giudaismo che per il cristianesimo era la fede in un solo Dio: difficile, per un pagano, distinguere tra i due tipi di monoteismo. La dottrina che si affermò, elaborata da Agostino, vescovo di Ippona, fu dunque quella che affermava che gli ebrei non dovevano essere uccisi o perseguitati, ma dovevano vivere – testimoni viventi – in un perpetuo stato di servitù, avendo essi perso il diritto di primogenitura a favore del “verus Israel”, vale a dire il popolo cristiano. La conversione, tuttavia, per molti secoli, rappresentò la “soluzione” per uscire da una condizione di subordinazione.
    Le cose iniziarono a cambiare a partire dalla Spagna cristiana. L’elemento “biologico” si affaccia chiaramente, soprattutto dopo l’espulsione decretata dai re cattolici nel 1492, in modo particolare con i cosiddetti statuti di “limpieza de sangre”. La conversione non era più sufficiente: si riconosceva qualcosa di insano, di malato nel sangue ebraico, ed erano necessarie moltissime generazioni per lavare la “macchia” della propria ascendenza ebraica. Le limitazioni imposte ai “nuovi cristiani” furono molto pesanti, al punto che non pochi cercarono di comprarsi una patente di “vecchio cristiano” per sfuggire ad una condizione che restava, nonostante la conversione, di suddito di seconda classe.
    Con l’età dei lumi, iniziò un processo di (moderata) integrazione della minoranza ebraica nel mondo non ebraico, che sarebbe sfociata – perlomeno in alcuni Paesi – nell’emancipazione e nella conquista di pieni diritti civili e politici. Integrazione che, tuttavia, non portò affatto alla scomparsa di antiebraismo e antisemitismo. Al contrario, questi ebrei sempre più assimilati, sempre meno riconoscibili, costituirono un’ulteriore fonte di preoccupazione. Da qui la produzione di libelli, come i famosi Protocolli dei Savi di Sion, che miravano a diffondere l’idea di un complotto ebraico per dominare le nazioni. La Chiesa, da parte sua, rimase fortemente contraria all’entrata degli ebrei nelle scuole, nelle università, nelle professioni: non si possono scordare, in tal senso, le parole di padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica, che riteneva tutto sommato non solo accettabili ma auspicabili anche le leggi razziali fasciste.
    Oggi il discorso antisemita ha preso la forma dell’ostilità verso lo Stato di Israele, e cerca non di rado di nascondersi dietro la celebrazione della memoria degli ebrei morti nella Shoah, ma risulta del tutto priva di empatia nei confronti di quelli vivi, come purtroppo si è dovuto constatare dopo il pogrom del 7 ottobre, un orrore che in troppi nel mondo occidentale non sono riusciti a condannare senza se e senza ma.

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