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    Il pericolo di Hezbollah

    Nessuna reazione all’attacco di Beirut
    Dopo l’eliminazione del numero due della direzione politica
    di Hamas, che non a caso si trova tutta all’estero, fra Qatar, Turchia e
    Libano, c’era attesa per le reazioni di Hezbollah, dato che l’esecuzione ha
    avuto luogo nella sua più importante roccaforte, il quartiere meridionale di
    Beirut, Dahieh, sulla superstrada che dal centro della città porta
    all’aeroporto, e ha eliminato suoi ospiti e alleati. Ma Israele, pur senza
    ammettere di essere responsabile dell’attacco, ha comunque negato che Hezbollah
    fosse l’obiettivo. Come ha detto Netanyahu “Chiunque sia stato, deve
    essere chiaro che questo non è stato un attacco allo Stato libanese. Non è
    stato un attacco nemmeno a Hezbollah. È stato un attacco chirurgico contro la
    leadership di Hamas. Chiunque sia stato, ha un problema con Hamas”. Da allora è
    passata una giornata e mezza, un tempo molto lungo per la politica
    mediorientale, e nulla di particolare è accaduto. Il Libano ha fatto un reclamo
    all’Onu, il leader di Hezbollah, Nasrallah, nel suo atteso discorso ha detto
    che si è trattato di un attacco alla sovranità del suo stato, ma non ha
    annunciato la guerra totale né ha ordinato il lancio di missili contro le città
    israeliane, che sarebbe il segnale dell’escalation. Gli scambi a fuoco lungo la
    frontiera sono continuati come di consueto, con qualche attacco particolarmente
    incisivo in cui l’esercito israeliano ha eliminato anche alcuni terroristi che
    avevano partecipato ai tiri contro il territorio dello stato ebraico. Ormai
    circa 150 miliziani dell’organizzazione terroristica sciita hanno già perso la
    vita in questa guerra a bassa intensità. C’è stato un grande attentato in Iran
    che ha provocato 170 morti fra i partecipanti alla cerimonia per il quarto
    anniversario della morte del generale Soleimani, ma Israele con l’appoggio
    degli Usa ha smentito con forza le accuse iraniane di esservi coinvolto. Fare
    esplodere bombe in mezzo alla folla non è del resto assolutamente un sistema
    usato da Israele.
     
    Le ragioni giuridiche di Israele
    Ma bisogna essere chiari. Se l’operazione di Beirut era
    un’esecuzione mirata, parte del programma di eliminare tutti i capi di Hamas
    collettivamente responsabili del massacro del 7 ottobre, e dunque non
    riguardava direttamente Hezbollah, ciò non significa che Israele non abbia
    intenzione di fare i conti con la minaccia che incombe dal Libano,
    possibilmente dopo aver risolto i problemi più gravi a Gaza. Anzi, è chiaro che
    la tranquillità non potrà essere ristabilita al confine settentrionale se la
    potenza militare di Hezbollah non sarà stata ridimensionata e se le sue forze
    non saranno allontanate dalla frontiera. Vi è per questo innanzitutto una
    ragione giuridica. La fine della guerra del Libano nel 2006 fu sancita dalla
    risoluzione 1701 delle Nazioni Unite che compensava il ritiro delle forze
    israeliane che erano arrivate a occupare in profondità il territorio libanese
    con il disarmo di Hezbollah e il suo ritiro dietro il fiume Litani, il quale
    scorre per la parte finale a una quindicina di chilometri dal confine.
     
    Dopo il 2006
    I terroristi dovevano essere sostituiti e disarmati
    dall’esercito regolare libanese e dalle forze di interposizione dell’Onu
    (missione Unifil). Ma sia l’Unifil che l’esercito libanese (ormai fortemente
    infiltrato da Hezbollah) non furono capaci di disarmare i terroristi o non
    vollero farlo; anzi la missione dell’Onu subì nel corso del tempo alcune
    pesanti umiliazioni da parte di Hezbollah senza reagire: militari catturati e
    addirittura uccisi, armi e materiali sequestrati. Questi episodi fra l’altro
    confermano la fondamentale sfiducia di Israele nei caschi blu dell’Onu, che in
    questo caso come in diversi altri (per esempio fra Israele e Egitto prima della
    guerra del Kippur) si sono dimostrati inutili e imbelli. Oggi Israele esige
    innanzitutto il rispetto dei termini della pace del 2006. Uno degli errori
    della “concezione” che dominava i vertici politici e militari di Israele prima
    del 7 ottobre è stato quello deciso alla fine del 2022 dal primo ministro Lapid
    su pressioni americane senza nemmeno l’approvazione parlamentare, di cedere una
    notevole estensione del mare territoriale di Israele al Libano con l’illusione
    di rabbonire Hezbollah che minacciava la guerra. Ora il Libano ha acquistato un
    fondale prezioso per il gas che contiene e Israele ha avuto  comunque la guerra con Hezbollah. Il
    movimento terrorista ha anzi avuto conferma della sua convinzione di poter
    minacciare impunemente Israele ed è diventato più aggressivo.
     
    Un altro 7 ottobre?
    La minaccia terrorista del confine libanese, tuttavia, non è
    solo un problema legale e non è affatto solo una guerra d’attrito, un fastidio
    minore. Hezbollah rappresenta ancora una minaccia considerevole per Israele. Il
    movimento terrorista sciita ha recentemente spostato notevoli forze dalla Siria
    nel Libano meridionale, tra cui 1.500 membri della sua unità d’élite Radwan. La
    missione principale di questa unità è quella di infiltrarsi rapidamente nel
    nord di Israele, prendere il controllo delle comunità e rapire ostaggi, in modo
    simile agli attacchi di Hamas del 7 ottobre. L’unità Radwan ha acquisito una
    notevole esperienza combattendo nella guerra civile siriana ed è considerata
    più preparata e la più disciplinata di Hamas. È per predisporre la sua azione
    che Hezbollah ha fatto scavare diversi tunnel sotto il confine (alcuni dei
    quali sono stati scoperti un paio d’anni fa, chiusi e perfino fatti visitare a
    giornalisti e diplomatici internazionali). Hezbollah ha spesso minacciato
    l’invasione della Galilea, sostenendo di poter arrivare facilmente fino a
    Haifa. Tuttavia, ora è evidente che il 7 ottobre ha tolto l’elemento sorpresa a
    questo progetto. Vi sono ora forze schierate fra il Golan e la Galilea ben
    capaci di affrontare la minaccia di Radwan. Di conseguenza, Hezbollah ha
    rivisto i suoi piani e i discorsi di Nasrallah vantano solo di aver costretto
    decine di migliaia di israeliani a evacuare le loro comunità nell’Alta Galilea.
    Ma la minaccia Radwan non è affatto sparita, potrebbe attuarsi in qualunque momento
    futuro in cui l’esercito israeliano non fosse più pronto schierato in quella
    zona. Ed essa si collega con la presenza di una enorme forza missilistica (si
    parla di 100 o addirittura 200 mila missili, quando Hamas ne ha sparato in
    questa guerra non più di 15 mila) che in parte è anche caratterizzata da una
    gittata capace di arrivare in tutto il territorio israeliano e fornita di guide
    di precisione che le permetterebbero di colpire gli obiettivi più delicati.
    Insomma, Israele non potrà essere tranquillo e non avrà vinto davvero questa
    guerra se non riuscirà a disarmare Hezbollah.

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