Skip to main content

Ultimo numero Novembre – Dicembre 2024

Scarica il Lunario 5785

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati







    L’eliminazione di due capi di Hamas a Beirut

    Il numero due di Hamas

    Saleh al-Arouri, il vicepresidente dell’ufficio
    politico di Hamas, è stato ucciso ieri sera in un’esplosione. Egli era
    considerato il “numero due” dell’organizzazione terroristica guidata
    da Ismail Haniyeh ed era responsabile di attività terroristiche in Giudea e
    Samaria. A suo tempo è stato lui, per esempio, a rivendicare la responsabilità
    di Hamas per il rapimento e l’omicidio di tre adolescenti israeliani nel 2014.
    Era vicino al leader di Hezbollah Hassan Nasrallah. Al-Arouri è stato ucciso in
    un attacco da parte di un drone israeliano contro un appartamento di un
    condominio del quartiere sciita di Dahieh, posto a sud del centro di Beirut,
    una delle roccaforti di Hezbollah. Altre due importanti capi terroristi sono
    state uccise nell’esplosione, avvenuta mentre al-Arouri era in riunione con
    altri terroristi di Hamas e Hezbollah. Secondo i rapporti, uno degli agenti
    uccisi nello sciopero insieme ad al-Arouri era Khalil al-Hayya, un membro
    anziano dell’ufficio politico di Hamas.

     

    Il terzo colpo in pochi giorni

    La notizia è importante per molte ragioni. In primo
    luogo si tratta del terzo colpo importante contro i dirigenti terroristi nel
    giro di pochi giorni. Qualche giorno prima, all’aeroporto di Damasco erano
    stati eliminati undici ufficiali di alto livello delle Guardie Rivoluzionarie,
    e ancora poco prima, sempre in Siria, ancora era stato liquidato Razi Mussavi,
    il comandante dello stesso corpo in Siria, responsabile del coordinamento del
    terrorismo contro Israele, per certi versi il successore di Qassem Soleimani,
    eliminato quattro anni fa dagli americani e ancor oggi considerato l’uomo
    chiave del progetto imperialistico dell’Iran. Si tratta dunque di una politica
    precisa, di un progetto continuo che mette in atto la disposizione data da
    Netanyahu dopo il massacro del 7 ottobre ai servizi: andare alla caccia dei suoi
    responsabili dappertutto nel mondo e di eliminarli, come era stato fatto a suo
    tempo coi responsabili della strage di Monaco. È difficile pensare che in una
    cultura che glorifica la morte e considera il “martirio” come il massimo premio
    nella vita di un fedele queste eliminazioni abbiano un effetto deterrente; ma
    certamente disorganizzano l’azione del nemico e segnano una sua evidente
    sconfitta. Lo storico israeliano molto noto Benny Morris ha appena pubblicato
    un’intervista in cui afferma che la guerra si concluderà solo con l’uccisione
    di tutti i responsabili del 7 ottobre.

     

    Un colpo di precisione

    Una seconda considerazione conseguente è che i
    servizi di informazione israeliani, che erano stati beffati dall’invasione di
    Hamas, si stanno lentamente prendendo la rivincita e stanno mostrando al
    pubblico israeliano ma soprattutto ai governanti della regione che sono ancora
    in grado di conoscere esattamente i movimenti dei capi nemici e di indicarli
    alle forze armate per l’azione necessaria. Perché il drone colpisse esattamente
    l’appartamento dove Saleh al-Arouri si riuniva con gli altri terroristi, senza
    confonderlo con tutti gli altri vicini, permettendo quindi un colpo “pulito”,
    che non ha coinvolto altri se non l’obiettivo stabilito, bisogna supporre che egli
    fosse marcato elettronicamente o le sue abitudini monitorate in altro modo
    altrettanto preciso. Lo stesso va detto per i colpi precedenti e per le molte
    eliminazioni mirate che si sono susseguite nel corso dei combattimenti a Gaza.

     

    Le reazioni di Hezbollah

    La terza considerazione riguarda Hezbollah. Colpendo
    in una roccaforte dell’organizzazione terroristica alcuni suoi stretti alleati
    di alto rango, che evidentemente si sentivano sicuri sotto la sua protezione,
    ma senza danneggiare i dirigenti di Hezbollah, le forze armate israeliane hanno
    lanciato un messaggio molto chiaro ai terroristi libanesi: non vi sono santuari
    per loro, come è stato colpito Hamas così potrebbero esserlo anche loro; ma
    Israele per il momento non vuole una guerra totale con loro. È conveniente
    dunque per Hezbollah inghiottire l’affronto e non reagire. E infatti, fino a
    mercoledì mattina, nonostante le previsioni di un possibile bombardamento da
    parte del sistema missilistico di Hezbollah (che è forse dieci volte più ricco
    di testate e preciso di quello di Gaza) non vi è stata la reazione per cui le
    forze armate israeliane erano in stato di massima allerta. Può essere un
    segnale di ponderazione o di panico, è difficile dirlo. È probabile che la
    reazione arrivi, per esempio dopo il discorso previsto per questo pomeriggio di
    Nasrallah, il leader di Hezbollah, che subito dopo il colpo di Dahieh era stato
    annullato e poi annunciato di nuovo. Ma certamente Hezbollah e l’Iran che lo
    controlla, stanno pensando con molta cura se sia conveniente imbarcarsi in uno
    scontro che farebbe molti danni a Israele ma si concluderebbe con una rovina di
    Hezbollah analoga a quella di Hamas e dunque con la distruzione del progetto
    iraniano di una mezzaluna sciita che dovrebbe portare dalla Persia al Mediterraneo,
    incuneandosi nel mondo sunnita e dominandolo. Forse è meglio per loro
    inghiottire lo smacco e mantenere in piedi la minaccia su Israele, in attesa di
    tempi migliori, per esempio di una rinnovata turbolenza interna allo stato
    ebraico.

     

    Il punto di svolta per la guerra al nord?

    Infine la notizia dell’attacco a Beirut va legata
    alle scelte israeliane rispetto a Gaza. Lo stato maggiore dell’esercito ha
    annunciato alcuni giorni fa il ritiro di 5 brigate (cioè circa 25 mila uomini)
    dalla Striscia: due di riservisti saranno congedate almeno provvisoriamente e
    tre mandate a una fase di addestramento. Ciò serve da un lato a soddisfare in
    parte le pressioni americane per una de-escalation da Gaza; in parte serve a
    dare respiro alle truppe, impegnate ormai in battaglia da più di due mesi: la
    rotazione dei combattenti è sempre necessaria in qualunque esercito per
    mantenere l’efficienza operativa. Ma va anche legata alle dichiarazioni di
    numerosi dirigenti per cui la guerra durerà per molti mesi ancora (così Benny
    Gantz) o addirittura per tutto il 2024 (così Netanyahu). È probabile che questa
    lunga durata non serva solo a domare il terrorismo a Gaza e a conquistare tutte
    le sue fortificazioni sotterranee, ma sia prevista pensando a un’estensione del
    conflitto al nord, come del resto sta iniziando ad avvenire ormai da una decina
    di giorni. Per ora sono scambi di artiglieria e bombardamenti missilistici e
    aerei rafforzati, ma una guerra con Hezbollah in Libano e Siria coinvolgerebbe
    certamente anche le forze di terra, che debbono preparavisi. Da questo punto di
    vista l’eliminazione di Saleh al-Arouri avvenuta nella capitale del Libano
    potrebbe essere un avvertimento o una tappa di questa strategia.

    CONDIVIDI SU: