La guerra sta cambiando
Lentamente ma in maniera sempre più chiara, il
quadro del conflitto cambia. Israele sta realizzando la fine del regime
dell’organizzazione terroristica di Hamas che finora ha perso circa un terzo
delle sue truppe. È probabile che tutta la superficie della Striscia di Gaza,
anche se forse non l’intera città sotterranea del terrorismo, entro poche
settimane verrà occupata; poi bisognerà anche ripulire o distruggere le
gallerie, badando a recuperare gli ostaggi e a eliminare truppe e comandanti di
Hamas che vi si sono rifugiati. Negli ultimi giorni il conto dei missili e
altri proiettili dal Libano e dalla Siria è assai più alto di quello
proveniente da Gaza. È un segnale del cambiamento della guerra, non solo perché
molte delle postazioni e dei magazzini missilistici di Hamas sono stati
distrutti, ma anche perché il conflitto che si sta allargando: nelle prossime
settimane, dicono gli esperti, ci saranno
probabilmente meno grandi bombardamenti a Gaza, rimarranno le
eliminazioni mirate e le operazioni terrestri par dare la caccia ai terroristi,
mentre ci sarà un aumento di bombardamenti in Libano portati sempre più in
profondità. Già ieri vi è stata un’azione dell’aeronautica israeliana che ha
colpito a 45 chilometri dal confine.
La dichiarazione di Gantz
Per capire questa situazione è utile una
dichiarazione di Benny Gantz, che è stato ministro della difesa e capo di stato
maggiore delle forze armate, leader di quello che nei sondaggi è il maggior
partito, entrato nel gabinetto di guerra su invito di Netanyahu, subito dopo il
7 ottobre: “Abbiamo eliminato migliaia di terroristi, danneggiando gravemente
la capacità di comando e controllo e le capacità di lancio dell’organizzazione
terroristica di Hamas. Abbiamo stabilizzato la difesa; stiamo lavorando per
distruggere le infrastrutture terroristiche sotterranee e continueremo a farlo.
Ora dobbiamo fare un passo avanti e proseguire. Anche i prossimi stadi nella
lotta saranno potenti, profondi e sorprendenti. La campagna continuerà e si
estenderà in base alle necessità ad ulteriori centri e arene aggiuntive. In
questo contesto, dico ai nostri amici nel mondo: la situazione al confine
settentrionale richiede un cambiamento. Il tempo per una soluzione politica sta
per scadere. Se il mondo e il governo libanese non agiscono per fermare il
fuoco sule località israeliane del nord e per tenere l’organizzazione
terroristica di Hezbollah lontano dal confine, lo farà il nostro esercito”.
Lo schieramento contro Israele
Il segnale è chiaro, ed è diretto innanzitutto verso
gli Stati Uniti e la Francia, storica colonizzatrice e protettrice del Libano.
Israele ha ben chiaro che la guerra iniziata con l’attacco e le orribili strage
di Hamas il 7 ottobre non è uno scontro fra Israele e Hamas, ma un conflitto più
largo, di scala almeno regionale. Contro Israele non si è mosso un gruppo
terrorista isolato, ma una coalizione vasta guidata dall’Iran che comprende non
solo Hezbollah, ma lo stato siriano, gli Houti in Yemen, i gruppi sciti in Iraq
e Bahrein, i loro alleati nel resto del mondo. Uno schieramento che gode
dell’appoggio di Cina e soprattutto Russia e della simpatia di numerosi
organizzazioni internazionali, innanzitutto dell’Onu, che ieri, per fare un
esempio, ha nominato “coordinatrice umanitaria” di Gaza la vice Primo
Ministro uscente dell’Olanda, Sigrid Kaag, estremista anti-israeliana, sposata
con un palestinese, che era vice Ministro dell’OLP al tempo di Arafat:
difficile trovare una persona meno adatta a coordinare con Israele le politiche
di soccorso alla popolazione civile. Per quanto riguarda la Russia, sono state
rilevate postazioni di osservazione sotto la sua bandiera sul Golan siriano al
confine con Israele. È in sostanza una copertura per il lavoro di Hezbollah e
dell’esercito siriano; del resto gli aeroporti sotto bandiera russa sulla costa
siriana sono usati per i rifornimenti militari dall’Iran a Hezbollah, quando
Israele bombarda quelli di Damasco e Aleppo, come accade continuamente. Uno
scontro diretto fra aerei israeliani e truppe russe non è affatto impossibile.
Un compito gigantesco
È in considerazione di questo quadro i dirigenti
israeliani continuano a ripetere che la guerra durerà ancora parecchi mesi. Non
si tratta di vincere semplicemente Hamas sul piano militare, ma di realizzare un
compito molto più difficile: mettere fuori gioco nemici molto meglio preparati
e armati di Hamas, come Hezbollah, e sconfiggere politicamente un’alleanza che
vede nell’eliminazione di Israele la premessa alla conquista dell’egemonia
mondiale. È un compito gigantesco, che è ostacolato da molti fattori: la sorda
resistenza degli apparati americani alle scelte pro-israeliane che vengono più
che da Biden dallo schieramento deciso della popolazione degli Usa; la
tiepidezza, per essere educati, dell’Europa che sembra non capire quanto
l’attacco terroristico a Israele si rivolga anche contro di lei; l’antipatia
della Chiesa, in particolare di un Papa che vorrebbe essere progressista in
tutto, ma sugli ebrei ha atteggiamenti alla Pio XII; il sistema di alleanze antioccidentali
guidato dalla Russia; l’islamismo tutto mobilitato per la distruzione degli
ebrei; ma anche le resistenze interne a prendere atto che il progetto di una
pace coi palestinesi basato sulla convivenza pacifica e la costruzione della
prosperità regionale è fallito completamente, anche perché è sempre più chiaro
che Hamas continua a godere dell’appoggio di una grande maggioranza dei
palestinesi, nonostante le stragi di cui si è macchiato, ma proprio a causa di
esse. Ma è anche un lavoro indispensabile, da cui dipende l’esistenza stessa
dello stato di Israele. Il 7 ottobre ha dimostrato che non si può contare sulla
volontà dei nemici di stare in pace, anche quando evidentemente converrebbe. Il
loro fanatismo antisemita è tale da affrontare i danni più gravi pur di
distruggere Israele. Solo la disabilitazione della potenza militare dei
terroristi intorno a Israele e la sconfitta del progetto imperialista dell’Iran
possono portare la pace in Medio Oriente.