Chissà se qualcuno conierà un termine per definire quello speciale legame che, dopo il 7 ottobre, si è creato tra le famiglie degli ostaggi israeliani. Per Liran Berman (36 anni), Omri Shtivi (30) e Ilay David (26) si tratta di una forma di fratellanza allargata che include loro stessi e i rispettivi fratelli minori Ziv e Gali Berman (26), Idan Shtivi (28) e Evyatar David (22). Cioè i “secondi” di casa, che sono stati presi in ostaggio da Hamas e portati a Gaza.
“I fratelli maggiori esistono per proteggere i minori”, così la vede Ilay. Più di ogni cosa, aspetta il momento in cui potrà riabbracciare il suo Evyatar, che tra pochi giorni compirà 23 anni. Omri ha un solo desiderio da 76 giorni: “Bere un caffè con Idan sul balcone di casa mia”. Che non è solo un piccolo gesto di quotidiana intimità. È un vero e proprio topos israeliano. “Quando li rivedrò, li stringerò in un abbraccio. Il più a lungo possibile. Anzi, non li lascerò andare mai più”. In quell’abbraccio, Liran Berman deve contenere Ziv e Gali che, racconta, hanno una sorta di “twin power”. Cioè quel potere magico dei gemelli che è un mix di energia vitale ed empatia.
Storie che si intrecciano tra loro e con quelle degli altri prigionieri israeliani. Fenomeno che non sorprende in un paese piccolo, in cui i kibbutz sono luoghi dove si tende a fare tribù e l’esperienza della leva obbligatoria, con la lunga appendice del “miluim”, il servizio da riservista, ti lega per la vita a una seconda famiglia.
I Berman vivevano tutti a Kfar Aza, tranne Liran. E sono corsi tutti nei rifugi, la mattina dell’assalto di Hamas al kibbutz, nel Sabato Nero di ottobre. Talia e Doron Berman, i genitori che sono riusciti a scampare ai terroristi rinchiudendosi nel “mamad”, sono stati liberati dall’esercito israeliano alla mezzanotte di sabato. L’altro figlio, Idan, è stato salvato la domenica pomeriggio. La lotta per liberare Kfar Aza, una delle comunità più devastate, è andata avanti sino al lunedì. “Per dieci giorni Ziv e Gali sono stati dati per dispersi. Eravamo pronti a piangerli morti”, ricorda il fratello maggiore. Invece il 17 di ottobre due ufficiali ci hanno detto che risultavano rapiti. “È assurdo – riflette Liran – come possa esserci sembrata una bella notizia, in quel momento”. Ma adesso che sono passati due mesi, non è rimasto più nulla di quell’incauto sollievo. Soprattutto perché dall’ultimo rilascio di ostaggi durante il cessate il fuoco, da Gaza sono usciti solo cadaveri. Kfar Aza guarda negli occhi Shejaiya, dentro la Striscia, dove venerdì si è verificato un tragico incidente. I militari, sotto la pressione dei combattimenti, la paura delle imboscate e la stanchezza, hanno sparato a tre connazionali che erano riusciti, con le loro forze, ad arrivare a un passo dalla libertà e dalla salvezza. Uno di loro, Alon Shamriz di Kfar Aza, era uno dei migliori amici dei gemelli Berman, fin dalla culla. Lo racconta Liran, proprio mentre si trova in visita alla famiglia di Alon per la “shivà”, la settimana del lutto, nella loro nuova provvisoria casa nel kibbutz di Shefayim che ha accolto gli sfollati – e nel cimitero anche i cadaveri – dei residenti di Kfar Aza. “Non sono giorni facili. Ma sosteniamo e crediamo nell’esercito qualunque cosa faccia – commenta -. È stato un errore gravissimo ma sappiamo che il loro impegno è massimo”.
Evyatar David e Idan Shtivi non si conoscevano, ma entrambi sono stati presi in ostaggio dal Nova Festival. Il primo è comparso in due video diffusi da Hamas su Telegram sei ore dopo aver perso i contatti con la famiglia. Ilay David racconta che nel primo filmato suo fratello veniva trascinato dai terroristi a Gaza, preso per i capelli, con un fucile puntato addosso e la maglietta lacerata. “Ma almeno cammina, è vivo”, ha pensato in quel momento. Nell’altro era insieme ad altri ragazzi. Le riprese indugiavano sui volti. “I terroristi volevano che vedessimo il terrore nei loro occhi. E volevano mostrare l’orgoglio che provavano nell’esibirli come trofei. È stato molto doloroso vedere mio fratello sottoposto a questa umiliazione”. Idan ha provato a fuggire, è stato ferito e infine preso e portato a Gaza. “Quando ho visto la sua auto, con le fiancate trivellate di colpi, i sedili e l’air bag impregnati di sangue, mi sembrava irreale. Soffre di disturbi d’ansia. Posso solo immaginare cosa stia passando”, si preoccupa suo fratello. Liran, Omri e Ilay sono disposti a tutto pur di liberare i fratelli minori. Ritengono, visto il precedente accordo che ha portato alla liberazione di 105 ostaggi, che la pressione militare dovrebbe continuare a essere affiancata da quella diplomatica. “Non so se un cessate il fuoco immediato sia la soluzione. Dobbiamo essere responsabili anche per gli altri cittadini israeliani”, riflette Ilay David. Ma poi aggiunge: “Se fosse l’unica soluzione, sia quel che sia. Dobbiamo riportarli a casa subito”.