L’incidente di
Shuja’iyya
Nella difficilissima azione delle truppe di terra
che danno la caccia ai terroristi casa per casa e tunnel per tunnel per tutta
Gaza, è avvenuto un tragico errore, che è costato la vita a tre dei rapiti che
i soldati cercavano di liberare. Durante i combattimenti nel quartiere di
Shuja’iyya in Gaza City, le forze israeliane hanno erroneamente identificato
tre sequestrati come minacce e hanno sparato loro uccidendoli. Come ha
dichiarato venerdì il portavoce militare, “durante le perquisizioni e i
controlli nell’area in cui è avvenuto l’incidente, è emerso il sospetto
sull’identità del defunto. I loro corpi sono stati trasferiti in territorio
israeliano per essere esaminati, dopo di che è stato confermato che si trattava
di tre ostaggi israeliani”. Si tratta di Yotam Haim, 28 anni, che i terroristi
di Hamas avevano rapito dal Kibbutz Kfar Aza; Samer Fouad Talalka, 22 anni,
rapito da Hamas dal Kibbutz Nir Am; e il terzo ostaggio, la cui famiglia ha
chiesto che il suo nome non fosse reso pubblico.
Le reazioni
“Insieme all’intero popolo di Israele, chino il
capo con profondo dolore e piango la morte di tre dei nostri ostaggi”, ha
dichiarato subito il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. “Questa è
una tragedia insopportabile e stasera tutto Israele piange la sua perdita. Il
mio pensiero è rivolto alle famiglie in lutto in questo momento difficile”.
Netanyahu ha aggiunto che i “coraggiosi soldati” di Israele si impegnano “nella
sacra missione di riportare a casa i nostri ostaggi, rischiando la vita nel farlo.
Oggi, in questa serata dolorosa, cureremo le nostre ferite, impareremo la
lezione e continueremo lo sforzo più importante per riportare a casa tutti gli
ostaggi”. L’esercito israeliano sottolinea che la zona dell’incidente è un
punto di scontro in cui si sono avuti pesanti combattimenti negli ultimi giorni
ed “esprime profondo rammarico per il tragico incidente e invia alle
famiglie le sue più sentite condoglianze”, ha aggiunto. “La nostra
missione nazionale è localizzare i dispersi e riportare a casa tutti gli
ostaggi”.
La responsabilità
Su questa terribile tragedia va detto che la colpa
non è certo dell’esercito israeliano. La morte dei tre rapiti dipende
innanzitutto dal fatto di essere stati sequestrati il 7 ottobre, di essere
stati tenuti prigionieri senza colpa per due mesi e mezzo dai terroristi, dal
rifiuto di costoro di liberarli e di arrendersi, dalle tattiche subdole con cui
essi attaccano i soldati israeliani con agguati improvvisi dai tunnel, senza
distinguersi con uniformi, come è richiesto dalle leggi di guerra, e infine dal
fatto che le vittime sono stati portate in zona di combattimento per essere
usati come scudi umani, il che non sarebbe lecito neanche per i normali
prigionieri di guerra, figuriamoci per persone sequestrate. Bisogna aggiungere
che nelle operazioni militari condotte nell’urgenza e nella confusione del
combattimento, purtroppo le morti per fuoco amico non sono poche. Un calcolo di
qualche giorno fa ne contava 16 in questa campagna militare su poco più di un
centinaio di caduti in azione.
La guerra prosegue
La morte dei rapiti non ha interrotto i
combattimenti. Hamas ha tirato ieri una raffica di razzi a Gerusalemme, che per
lo più sono caduti nei territori amministrati dall’Autorità Palestinese, fra
cui uno che ha sfiorato un ospedale; un altro era in rotta colpire il Monte del
Tempio e magari la moschea di Al Aqsa
che gli islamisti dicono di voler difendere a ogni costo; non sappiamo se
l’azione fosse volontaria o frutto di incompetenza; ma certamente è stato il
sistema Iron Dome a impedire che “il terzo luogo più sacro per l’Islam”, come
dicono loro, fosse danneggiato. Sono proseguite anche le azioni dell’esercito a
Gaza, sia ancora nel quartiere di Shuja’iyya di Gaza City, dov’è avvenuta la
tragedia, sia a sud a Khan Yunis e anche a Rafah. Pure in Giudea e in
particolare in Samaria, a Nablus e Jenin, si è rinnovato l’intervento delle
forze di sicurezza, mentre l’aviazione ha bombardato i villaggi del Libano
meridionale da dove i miliziani di Hezbollah sparano su Israele. Su questo teatro settentrionale il conflitto
sta lentamente montando: o i terroristi si ritirano o è possibile che anche qui
entrino forze di terra. Metà dell’aviazione ormai è concentrata su questo
quadrante. Uno scontro con Hezbollah potrebbe essere necessario per eliminare
un pericolo sempre più chiaro e imminente. Ma certamente si tratta di un
bersaglio assai più difficile di Hamas e gli sviluppi potrebbero essere molto
difficili.
Un ponte terrestre per aggirare gli Houti
Un altro fronte che si sta riscaldando è quello
dello stretto di Bab al-Mandeb fra Mar Rosso e Golfo di Aden. Sono ormai una
decina le navi di tutte le nazionalità attaccate dagli Houti, col pretesto di
essere di proprietà israeliana o di essere dirette in Israele, il che di solito
è falso, ma per loro in fondo non conta. Quel che vogliono è stabilire la loro
violenza contro la legge. E in effetti hanno ottenuto che due importanti
armatori internazionali decidessero di non far passare più le loro navi da
quelle parti, con grave danno economico per loro, per l’Europa dove di solito
sono dirette e anche per l’Egitto che rischia di perdere buona parte dei
gettiti del Canale di Suez. C’è da sperare che qualcuno intervenga finalmente
in maniera decisa. Israele nel frattempo si è messo d’accordo con Emirati e
Arabia per istituire un “ponte di terra” sostitutivo, cioè un collegamento che
già è stato messo in funzione. Da tempo si parla di costruire una ferrovia per
aggirare Suez su questo tracciato, ci vorrà del tempo, ma la spinta è evidente.
Per ora le merci arrivano per nave agli Emirati, attraversano su camion
l’Arabia orientale e la Giordania e arrivano a Haifa. Ci mettono due giorni a
un costo certamente superiore del trasporto marittimo, ma tengono fuori gioco
gli Houti.